Cronaca locale

Delpini, il vescovo di popolo "cresciuto" da tre cardinali

Vicario di Scola, già al fianco di Martini e Tettamanzi, Mario Delpini vive con i preti anziani, ama il latino e la bicicletta

Delpini, il vescovo di popolo "cresciuto" da tre cardinali

«Per lasciare un messaggio a monsignor Delpini, premere uno». C'è la segreteria sempre pronta quando telefoni alla Casa del clero di via Settala, dietro corso Buenos Aires, dove vive colui che oggi sarà ufficialmente arcivescovo di Milano. Gira in bici per la città col giubbotto catarifrangente, va in processione con i paramenti color oro e il bastone pastorale in legno, è schietto e a volte sferzante. E c'è già chi immagina che come Papa Bergoglio, che l'ha scelto per guidare una delle diocesi più grandi del mondo, possa decidere di non vivere in Arcivescovado.

Sopra il portoncino in legno della Domus Mater Ecclesiae, la Casa del clero che accoglie i sacerdoti anziani, c'è il suo stemma da vescovo «Plena est terra gloria eius», la terra è piena della sua gloria. Ai confini della sua abitazione, l'oratorio della parrocchia di San Gregorio Magno, dove giocano e studiano i ragazzi. In questa istantanea alcuni sentieri della vita di don Mario: la cura dei sacerdoti, la passione per il latino e il legame con don Bosco. È stato Delpini, nel febbraio del 2014, ad accogliere in Duomo l'urna con le reliquie del santo dei giovani, così come la statua della Madonna pellegrina nell'anniversario delle apparizioni a Fatima. Devozione e fede di popolo, ma anche grandi aperture sui temi difficili, quando si tratta di venire incontro alle «pecorelle» smarrite.

Imbrigliare Delpini in una definizione o in una «corrente» della Chiesa non è facile, nemmeno se ci si volesse limitare alla Diocesi di Milano, dove nasce il 29 luglio del 1951 in quel di Gallarate, terzo di una famiglia numerosa, sei figli cresciuti da papà Antonio e mamma Rosa a Jerago con Orago e poi ad Arona. Entra nel seminario di Venegono inferiore a sedici anni e frequenta il liceo classico. Ordinato sacerdote nel 1975 dal cardinale Giovanni Colombo, è nominato vescovo nel 2007 da Papa Benedetto XVI, che accoglie così la richiesta dell'arcivescovo Dionigi Tettamanzi, che l'aveva voluto suo vicario di zona.

A chiamarlo alla guida dei seminari di Milano come rettore maggiore è il cardinale Carlo Maria Martini, che nel 2000, alla fine del suo episcopato, gli fa così completare lunghi anni di insegnamento e guida dei sacerdoti iniziati nel lontano 1989, anche se Delpini non ha mai fatto parte della cerchia ristretta di Martini. È poi l'arcivescovo Angelo Scola a volerlo come vicario generale e vicario episcopale per la formazione permanente del clero. Nella sua storia di sacerdote profondamente ambrosiano, entrano tante, diverse e importanti figure della Chiesa contemporanea.

Studi di un certo peso: si laurea in Lettere all'Università Cattolica con una tesi sull'insegnamento della lingua di Cicerone e lo studio dei classici. Segue la licenza in Teologia alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale con un saggio su Pico della Mirandola. Si specializza anche al Pontificio seminario lombardo e all'Istituto Patristico Augustinianum di Roma.

Ma la sua cifra resta una certa semplicità, che si legge anche come obiettivo dei suoi libri. L'ultimo, «E la farfalla volò», è una raccolta di fiabe per bambini. Uno più antico, «Reverendo, che maniere!», 1998, è un galateo per sacerdoti, dove li si invita a liberarsi dalle «zavorre di un certo clericalismo e dell'efficientismo manageriale» ma anche a evitare scivoloni di altra natura, come quando «senza malizia ma forse con un pizzico di ingenuità, fanno girare la testa alle donne».

Ha scritto un decalogo ironico nei toni ma serio nei contenuti tutto dedicato alla Confessione, mostrando un senso dell'umorismo che non lo abbandona nemmeno nelle svolte decisive della vita, come quando la sua nomina viene se non intralciata, almeno punzecchiata da alcuni sacerdoti milanesi che, riuniti nel consiglio episcopale, chiedono un vescovo più giovane oppure dai connotati simili a Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, o a Francesco Beschi, vescovo di Bergamo. «Non corrispondo all'identikit» scherza lui, sapendo che dietro l'angolo e oltre la terna lo aspetta un incarico delicato anche con i preti.

Li conosce tutti, ma forse anche per questo con loro non avrà sempre vita facile.

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