Cronaca locale

La Diva musa di Strehler che amava «el nost Milan»

Al Piccolo spettacoli memorabili dove interpretò la città dei diseredati, come quella dei «sciuri»

Andrea Bisicchia

Da tempo Valentina non calcava le scene milanesi, ma sapevamo che c'era e tanto ci bastava per renderla viva, grazie a tutte le emozioni che era riuscita a trasmetterci. Il teatro, più del cinema, è un evento che passa senza lasciare tracce, ma ha il potere di rendere sempre vivi i suoi grandi interpreti, non solo nel ricordo di chi li ha conosciuti, ma anche in quello delle nuove generazioni che gli si accostano proprio grazie ai grandi miti che ci ha lasciato e che lo rendono sempre contemporaneo. Valentina Cortese era già nel mito dei milanesi e non solo, era l'attrice che amava tanto la sua città perché, era solita dire, raffigurazione d'armonia, tanto che riteneva la sua casa specchio di questa armonia. Veniva spesso paragonata alla Garbo, alla Bergman, in Italia la si accostava alla Magnani, alla Valli, ma lei si sentiva un'attrice infinitamente milanese. Non è un caso se a lei e al suo inconfondibile stile venne dedicata addirittura una mostra nel 2013 a Palazzo Morando.

Il cinema l'aveva resa famosa sin dagli anni quaranta, grazie a Blasetti, Visconti, Zeffirelli, Fellini, Truffaut, ma era stato il teatro a renderla diva, soprattutto durante il sodalizio con Strehler, con spettacoli memorabili come El nost Milan, edizione del 1961, Il Giardino dei ciliegi con Gianni Santuccio, I giganti della montagna, con Turi Ferro, Santa Giovanna dei macelli, con Glauco Mauri, non semplici successi, ma veri e propri modelli di un teatro irripetibile. I personaggi di Nina, Ljuba, Ilse, Giovanna, nelle sue interpretazioni, avevano qualcosa che li trascendeva, essendo stata capace di immetterli in un mondo sociale non delimitato dal tempo che, grazie a lei, diventavano creature emblematiche. La sua Nina viveva nella Milano dei diseredati, della «povera gent», a cui cercherà di reagire per entrare a far parte dei «sciuri», abbandonando l'ambiente popolare per sostituirlo con quello della corrotta nobiltà milanese. La sua Ljuba non vuole rinunziare al «giardino» che considerava parte integrante della sua esistenza, mentre la sua Ilse non intendeva soccombere agli ottusi «giganti» perché confidava nel potere supremo della poesia. Di Giovanna, missionaria di un'organizzazione religiosa che predicava l'umiltà e la preghiera nei quartieri dei poveri, ne fece una ribelle contro il ricco industriale Mauler che cercò di convertire alla carità cristiana, nel momento grave della crisi del '29. Valentina incarnava i personaggi grazie al talento che arricchiva con tenui virtuosismi, con lunghe pause, con riflessivi silenzi, tanto da riuscire a creare, attorno a lei, delle atmosfere quasi irreali, rendendoli impalpabili, quasi appartenessero a un «canone» recitativo di cui lei e poche altre avevano la consapevolezza. Era una maniaca dell'approfondimento, proprio perché non le bastava interpretare.

Amava darsi in pasto al pubblico, fino a commuoverlo. Ricordo l'emozione della prima milanese dei Giganti della Montagna (1966) al Teatro Lirico, quando, oltre la mezzanotte, uscimmo con le lacrime agli occhi, non solo per la geniale regia di Strehler ma, soprattutto, per la sua Ilse dolente che muore tra le braccia dei comici, vedendo sconfitto il suo messaggio poetico. Ricordo ancora le trepidazione per il debutto di Santa Giovanna, perché si rifiutava di andare in scena avendo scoperto... una tresca di Strehler; solo che, alla fine, decise, per amore del pubblico e dei suoi compagni, di fare aprire il sipario.

Per lei nulla doveva essere falso sul palcoscenico che riteneva il luogo di verità e non di finzione-In età avanzata scelse di portare in scena la poetessa dei navigli, interpretando Il Magnificat della Merini, mostrando il suo tenace attaccamento per Milano.

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