Cronaca locale

Il «drink» del riscatto: dalle comunità al lavoro

Il progetto apre le porte di accademie e locali legati a cibo e cocktail a 30 ragazzi difficili

Sabrina Cottone

La cronaca delle cattive notizie ci ha abituato alle storie opposte, che iniziano con l'alcol da adolescenti e finiscono in casa famiglia. Ma può accadere, accade, anche il contrario, che sia un drink ben fatto a salvare una vita incagliata nel quotidiano a volte difficile o non scelto di una casa famiglia. In questo racconto vero le persone in cerca di futuro sono trenta e il progetto di inserimento lavorativo per giovani svantaggiati ha al centro l'arte del cibo, del caffè e del cocktail per imparare a stare meglio al mondo, prima ancora che dietro a un bancone. Come in ogni cosa, è fondamentale la moderazione. Alla misura del vino è dedicato persino un intero capitolo della Regola di San Benedetto per i monaci e si può ben adattare a vermouth, aperol, gin, vodka e whisky il principio di «badare sempre a evitare la sazietà e ancor più l'ubriachezza», «perché il vino fa apostatare i saggi».

Vien da dire che farebbe bene a tutti un corso di soft skills. Nel progetto Per aspera ad astra, alle stelle per vie aspre, che durerà fino a novembre 2020, la pratica delle abilità personali che aiutano (anche) nel mondo del lavoro sono la prima tappa del percorso che porterà dietro un bancone, a volte di prestigio, trenta ragazzi tra i 18 e i 24 anni, per il 48 per cento provenienti da comunità alloggio, inciampati in difficoltà della vita o della scuola. Il 13 per cento di loro non può contare su alcun titolo riconosciuto, il 35 sulla terza media, il 19 arriva da scuole professionali e il 32 ha un diploma.

Distinguere i tagli della Chianina e della Fassona grazie a un tutor che ti affianca, offrire un caffè in grado di competere con gli «invasori» d'Oltreoceano, miscelare un «Milano Torino» ben riuscito, per ricordare un cocktail caro ai cultori più tradizionali dell'aperitivo rito, chiudere la serata con un Negroni, un Hugo o un Moskow Mule sono il punto di arrivo di studi e tirocinio, pulizia e igiene, servizio al tavolo e al banco, bicchieri di ogni foggia, lezioni di shakerata, versaggio e velocità, studio matto e disperatissimo di dosaggio dei cocktail.

Ma in principio c'è altro. Si studiano l'arte della puntualità e del tenere fede agli impegni, le doti di leadership, le buone relazioni e il gnothi seauton, il conoscere se stessi e il saper entrare in relazione con gli altri. Nella formazione delle soft skills si analizzano e consolidano le attitudini personali, con tecniche di apprendimento e auto- correzione della condotta, giochi di ruolo, simulazioni, soluzione di problemi. Tra le competenze hanno un ruolo fondamentale i social network, e non per diventare smanettoni ma per non postare foto o frasi inappropriate che diventino autogol per la vita e la carriera.

«Crediamo che tutti debbano avere le giuste opportunità per superare le difficoltà e migliorare il proprio progetto di vita» è la sintesi di Giovanni Azzone, presidente della Fondazione di Comunità Milano, sostenitore del progetto insieme con Campari, Lavazza e Eataly, tre grandi marchi italiani che hanno messo a disposizione in modo gratuito le proprie accademie, solitamente dedicate a professionisti del settore, e poi i locali e le filiere per l'inserimento lavorativo di venti dei trenta ragazzi.

Gli altri dieci non rimarranno a piedi, ma potranno aprire il paracadute della Fondazione.

Uno scivolone può spingere fuori rotta anche per sempre chi è nato senza mezzi e invece cadere è una fase quasi obbligata per rialzarsi più forti.

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