Cronaca locale

Ecco pronto Palazzo Citterio La Grande Brera ancora no

Dal restauro vincoli architettonici per le esigenze del museo. Dimenticati giardino di sculture e «passerella»

Ecco pronto Palazzo Citterio La Grande Brera ancora no

Da Brera una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che finalmente, con appena un anno di ritardo sui tempi previsti, sono ufficialmente terminati i lavori di ristrutturazione di Palazzo Citterio, l'anello mancante della cosiddetta Grande Brera. La notizia cattiva è che, quello mostrato ieri per la prima volta al pubblico, si presenta come un palazzo storico restaurato ma ben lontano da quei parametri museali che erano previsti e necessari per un vero ampliamento della Pinacoteca. Entro giugno, l'edificio voluto dal padre nobile di Brera Franco Russoli e rimesso in sesto dopo 46 anni di progetti e ripensamenti, verrà consegnato dalla Sovrintendenza al direttore James Bradburne. Che avrà bisogno, come già molte volte puntualizzato, di almeno un altro anno per aprirlo ai visitatori («presumibilmente settembre 2019»). Dovranno infatti essere indette nuove gare d'appalto per gli allestimenti di quello che ospiterà la sezione d'arte moderna, e poi i laboratori didattici e di restauro. Ma il direttore sarà necessariamente obbligato a ridefinire i programmi, adattandoli a un restauro che presenta vincoli insormontabili e pare aver tenuto poco da conto la destinazione d'uso. I 6.500 metri quadri del palazzo, suddivisi tra l'infilata di stanze al piano nobile che ospiterà la collezione moderna e il secondo aperto anche a mostre temporanee, presentano spazi piccoli, soffitti bassi e difficoltà logistiche. La più importante di tutte riguarda l'impossibilità a trasferire a palazzo Citterio i depositi di Brera (come prevedeva il progetto Russoli) dal momento che i solai troppo bassi e le ridotte dimensioni dei montacarichi impediscono il trasferimento di pale e polittici. «Manterremo necessariamente l'attuale soluzione dei depositi visibili nella sala 23 della Pinacoteca» dice Bradburne, che ieri non era presente al tavolo dei relatori accanto al sovrintendente Antonella Ranaldi e agli altri rappresentanti del Ministero dei Beni Culturali. Il direttore della Pinacoteca, che ha avuto ben poca voce in capitolo nella ristrutturazione degli spazi (pur essendo architetto), è tuttavia pronto ad adattare l'edificio a quella che ormai resta l'unica funzione principale: l'allestimento della collezione d'arte moderna, ovvero delle raccolte Jesi, Mattioli e Vitali, «ma sono disponibile anche ad nuove collezioni perché l'idea, il pensiero di Russoli, era quella di un museo che vivesse il suo proprio tempo, il momento contemporaneo».

Un'altra occasione (inspiegabilmente) mancata del nuovo palazzo riguarda il giardino interno che nel progetto originario avrebbe dovuto ospitare uno scenografico parco di sculture della collezione del Museo: Dalla «Muraglia Cangrande» di Pietro Consagra, al «Miracolo» di Marino Marini, ai «Sette Savi» di Fausto Melotti. Il sovrintendente ha invece autonomamente optato per un sobrio giardino con collinetta e grotta e, come unica opera, un «muro longobardo» di Mimmo Paladino fatto di pezzi di pietre e frammenti trovati in loco. Un progetto ausdpicabilmente da rivedere. Inspiegabilmente accantonato pare anche il progetto della passerella trasparente che avrebbe dovuto collegare la Pinacoteca a Palazzo Citterio passando sopra l'Orto Botanico.

Era un'idea architettonica brillante oltre che efficace.

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