Cronaca locale

«Falstaff, un ciccione che twitta sempre per dimostrarsi vivo»

Franco Branciaroli porta in scena l'antieroe shakespeariano. «La vita? Un'ignobile farsa»

Antonio Bozzo

«Non so se gli inglesi si siano ridotti all'imbecillità che ormai contraddistingue molti italiani, ma almeno fino a qualche decennio fa la figura di Falstaff faceva parte della loro cultura, era amata e rispettata. Anche in virtù del fatto che il ciccione scespiriano, con un linguaggio straboccante al pari delle trippe, comunica una verità liberatoria: la vita è una nobile farsa». Non è sogno, non tragedia: ma farsa, ancorché nobile. Franco Branciaroli introduce così, con la consueta irriverente sicurezza, Falstaff e il suo servo, al Piccolo Teatro Strehler dal 19 novembre al 6 dicembre, tappa strategica di una tournée partita da Brescia, con ottimi risultati (negli applausi e nelle critiche). «In Italia - prosegue Branciaroli - Falstaff è naturalmente meno praticato che nel Regno Unito, se si esclude Verdi con la lirica. In più, non esiste un testo soltanto su di lui. È tra i personaggi in Shakespeare, nelle Allegre comari, e in Enrico IV ed Enrico V. Potete immaginare la lieta fatica che abbiamo fatto per portarlo in scena». Il lavoro è una creazione originale, alla quale hanno lavorato Nicola Fano e Antonio Calenda (quest'ultimo pure alla regia), con Branciaroli e Massimo De Francovich (il Servo, che però tanto servo non è) in palcoscenico, assieme a quattro giovani attori in altri ruoli. «Falstaff, per gli inglesi, sta alla pari di Amleto, anzi primeggia. Amleto è la vita malinconica, quasi la morte. Falstaff è la vita a tutti i costi, passando sopra alla morale corrente, cosa che ne fa un personaggio vicino al popolo: è difficile rispecchiarsi nel principe di Danimarca, molto meno nel corpulento Falstaff», dice l'attore. In scena, il Brancia si presenta pesantemente truccato. «Non vi dico quanto sudore sotto il cotone che mi imbottisce. Non passa aria, poi c'è la barba posticcia, anche quella una tortura», fa finta di lamentarsi l'attore, che subito aggiunge: «una parte che è un gran divertimento». Il Servo, ci spiega Branciaroli, «in realtà è una sorta di alter ego del protagonista. Sono due visioni del mondo che si affrontano. Falstaff vuole educare il suo compagno di avventure, ma così non sarà. Il grassone comincia a crollare quando va a sbattere contro la politica, la ragione di stato. Ma non racconto di più, e poi bisognerebbe conoscere nei dettagli la storia d'Inghilterra, per inquadrare perfettamente Falstaff». Con la ragione degli autori, Fano e Calenda vogliono che questo Falstaff - che non è quello altamente drammatico e buffonesco, con il pentolone in testa, del film di Orson Welles del 1965 - sia «l'uomo iperconnesso che vive contemporaneamente mille vite, vere o virtuali, pur di dimostrare a se stesso che esiste». E aggiungono: «Abbiamo immaginato Falstaff come l'antieroe dei più grandi personaggi di Shakespeare. Se la modernità del Bardo è nella rappresentazione dell'imperfezione consapevole dell'individuo, la sua postmodernità è nel grassone che twitta per essere».

La produzione è di Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati, Stabile d'Abruzzo.

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