Cronaca locale

Al Fuori Salone la più importante competizione di break dance

Il racconto delle selezioni locali dei migliori b-boy sulla scena della breakdance

Al Fuori Salone la più importante competizione di break dance

Capisco di aver raggiunto il posto giusto quando vedo una massa di ragazzi in felpone e scarpe da ginnastica. Anche se l’evento non è ancora iniziato, la musica è già pompata a volume altissimo, nella stanza centrale del teatro Franco Parenti qualcuno si riscalda, qualche altro già balla. Benvenuti al Red Bull BC One, la competizione di breakdance uno contro uno più importante al mondo. Quella di oggi è la selezione che si svolge a Milano, all'interno del Design Week Festival 10, che porterà a scegliere uno dei 16 finalisti che il 23 maggio a Roma si contenderanno il titolo di campione italiano di breakdance.

Manca circa mezz’ora all’inizio e, come mi spiega l’organizzazione, i ragazzi che vedo in coda sono i circa cento iscritti alla gara: diversi gli stili, diverse le età, sono quasi tutti maschi, e tutti, ma proprio tutti, molleggiano sulle gambe a tempo di musica. Come più tardi mi spiegherà Phil Good, b-boy ed insegnante di breakdance, nonché giudice della gara, tra i b-boys puoi trovare veramente di tutto: non ci sono limiti fisici (“un ragazzo di cento chili può volteggiare sulla testa con la leggerezza di un bambino”), non c’è un solo stile e soprattutto è un’attività alla portata di tutti. “La cosa bella della break”, spiega Phil “è che non serve nient’altro che tanta passione e un paio di scarpe comode! Tutti possono farlo!”. Già, proprio tutti, perché questo è un ballo che si impara per strada: le scuole ci sono, ma in genere il primo approccio alla breakdance avviene tramite amici.

C’è un forte legame tra questo stile e la strada, e c’è un legame altrettanto forte tra i b-boys che fanno parte di una crew, un gruppo insomma. Nell’ambiente si ha l’impressione che tutti si conoscano, del resto, come dice ancora Phil “nella break è molto importante socializzare, perché c’è molta condivisione, i ragazzi imparano gli uni dagli altri”. Ma ecco che Phil deve scappare, la gara sta per iniziare, d’un tratto l’atmosfera cambia completamente. Se prima mi sembrava di essere in una palestra del liceo, ora mi pare di essere in una scuola di danza classica. I ragazzi si accucciano in un angolo a scaldare i muscoli, a fare dello stretching, a riprovare i passi. L’uno controlla la tecnica dell’altro, si calmano a vicenda. Approfitto di questi ultimi momenti di pace per sentire un po’ di questi ragazzi, per sapere chi sono, da dove vengono. I primi che incontro hanno dai 17 ai 22 anni, mi dicono tutti la stessa cosa: hanno iniziato perché hanno visto gli amici per strada e si sono appassionati. Hanno nomi “di battaglia” come Furt, Praid, Medusa, e mi raccontano che quando ballano si sentono speciali, non pensano ai problemi, uno mi confessa, ridendo, che “piace molto alle ragazze”.

C’è anche un ragazzino molto più piccolo degli altri: ha solo 12 anni, balla da quattro, ma guai a sottovalutarlo: “Io sono Thunder, il tuono!”. Ecco che inizia la gara. A questo punto l’atmosfera assume le caratteristiche di un rituale magico: i ragazzi si siedono in cerchio, lasciando spazio al centro per i contendenti, chiamati due alla volta per le sfide. Nessuno fiata mentre gli altri ballano, hanno tutti la sguardo puntato sui ballerini, soppesano gli avversari passo dopo passo. Proprio come in un rituale, ogni sfida segue un copione: parte la musica, i due sfidanti prendono il ritmo con le gambe, ne approfittano per squadrarsi da un lato all’altro della pista. È una gara, certo, ma dopo ogni uno contro uno i b-boy si salutano, mano nella mano e pacca sulla spalla, prima di tornare ai loro posti. Noto anche che mentre uno balla, l’altro in piedi a bordo pista fa dei gesti, si volta, manda dei segnali.

A spiegarmi il loro significato è Sponge, ridendo perché per lui si tratta di un linguaggio familiare: “C’è un gergo che tutti noi conosciamo, si valuta l’avversario. Se faccio così (dice, piegando un braccio e toccandosi il gomito) vuol dire che il mio è un avversario appropriato… ma in genere sono gesti di scherno! Lo facciamo per distrarre l’avversario!”. Lui di anni ne ha 29 ma balla da dodici, quando ha iniziato lo ha fatto per praticare uno sport ma poi “ci ha preso gusto”. La gara va avanti, sfida dopo sfida, mano mano che i ragazzi si scontrano la tensione aumenta. Alle 20 i giudici alzano i cartelloni per indicare il vincitore: è Ibra, un ragazzo originario dell’Egitto che vive a Trento, classe 1988. La serata prosegue con i suoni di Ice One e la P-Funking Band.

Per un po’ gli occhi sono puntati su Ibra, ma dopo poco il ritmo e la voglia di ballare prevalgono, e lo spazio si trasforma in una grande discoteca.

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