Cronaca locale

«La gioia» secondo Delbono «Conta come raggiungerla»

Da domani il regista mette in scena la sua nuova pièce «Omaggio all'amico Bobò». Musica, maschere e clown

Antonio Bozzo

«Non ci avevo pensato, mi viene in mente adesso. La gioia è come Itaca nella famosa poesia di Kavafis: è più importante il viaggio per raggiungerla che la meta». Pippo Delbono, drammaturgo, regista e attore ligure del Ponente («sono nato tra due opposti, il mare che apre verso nuovi orizzonti, i monti che chiudono su se stessi e incutono la paura dell'ignoto») arriva al Piccolo Teatro Strehler con «La gioia», in scena dal 4 al 9 giugno. Si tratta di un cammino, appunto, verso uno stato di grazia che potremmo non acchiappare mai, come succede con la felicità: se esiste, la conosciamo soltanto nel ricordo, ormai svanita. Non importa. Qualcuno ha detto che se vedi uno spettacolo di Delbono, sai come entri in sala, non come ne uscirai. Vale per il vero teatro che deve «gettare bombe nelle coscienze», come oltre un secolo fa scrisse Gramsci nei panni di critico delle scene torinesi.

Dice il regista: «In febbraio ho perso Bobò, un grande artista, un uomo straordinario. Morto lui, pensavo di non mettere più in scena lo spettacolo. Invece siamo qui, la sua assenza è una presenza. Questo lavoro è un omaggio a Bobò, l'uomo che mi ha salvato, anche se in apparenza sono stato io a salvare lui». Delbono incontrò Bobò - vero nome Vincenzo Cannavacciuolo - nel 1996, durante un lavoro di teatro-terapia al manicomio di Aversa. Bobò, sordomuto, analfabeta, viveva tra quelle mura da decenni ed era stato dimenticato lì dopo la legge Basaglia, che svuotò gli ospedali psichiatrici. Delbono vide in quegli occhi intelligenti e infelici i propri stessi dolori e portò con sé quell'uomo dimenticato, verso la libertà, trasformandolo in un artista, restituendogli la dignità negata da un sistema barbaro. «Bobò, morto in febbraio a 82 anni, era bravissimo. Ha fatto in tempo a farsi conoscere in tutto il mondo, persino a Parigi e New York. In questo spettacolo, che porto all'attenzione del pubblico colto ma empatico (il più delle volte la cultura è un muro) del Piccolo e di Milano, c'è la voce di Bobò, che voce non aveva. C'è il suo lamento, la sua litania, il suo urlo soffocato. C'è la sua bellezza unica».

Gli occhi saranno sollecitati dalla «Gioia» di Delbono e dei suoi attori e performer. Nella fantasmagoria della scena agiscono tra barchette di carta, maschere, clown, potente musica e un mare di coloratissimi fiori di plastica, più belli del vero, ancorché non profumati. Sono le creazioni di Thierry Boutemy, fiorista normanno cittadino del mondo, che collabora con i più grandi stilisti e con il cinema.

Uno spettacolo di tenerezza e poesia, capace di commuovere e regalare gioia, se gioia è anche saper guardare oltre le apparenze, non aver paura dei monti che ci chiudono in ristretti orizzonti.

Per approfondire la poetica di Delbono, il 7 giugno alle 17 in via Rovello vedremo il suo film «Grido», introdotto dal direttore del Piccolo, Sergio Escobar.

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