Cronaca locale

Il giudice prepotente cacciato dal Csm dopo la condanna

Nonostante 2 anni e 8 mesi per concussione continuava ad amministrare la giustizia

Il giudice prepotente cacciato dal Csm dopo la condanna

C'è voluta una condanna per concussione a due anni e otto mesi di carcere perché Giorgio Alcioni, giudice del tribunale di Milano, finisse sanzionato dal Consiglio superiore della magistratura. Una carriera costellata di contestazioni disciplinari, anche per fatti disdicevoli, era finora proseguita senza scossoni e Alcioni continuava fino a pochi giorni fa ad amministrare giustizia in nome del popolo italiano nella sua stanza al sesto piano del Palazzo di giustizia. Anzi, dopo la condanna per concussione, aveva ottenuto che il presidente del tribunale, Roberto Bichi il mese scorso lo scegliesse tra altri aspiranti per il posto che aveva richiesto alla tredicesima sezione civile, quella che si occupa di sfratti e di locazioni. Una destinazione singolare, visto che proprio da una storia di liti condominiali è scaturita la condanna di Alcioni. Ma l'articolo del Giornale che lo scorso 8 maggio aveva resa nota la condanna di Alcioni, non è passato inosservato. Il giudice è finito sotto procedimento disciplinare e nei giorni scorsi il Csm ha disposto la sua sospensione cautelare dall'incarico. È un provvedimento provvisorio e d'altronde anche la condanna inflitta ad Alcioni non è definitiva. Ma almeno cesserà l'imbarazzante spettacolo di un giudice ritenuto colpevole di un reato grave che continua come se nulla fosse a distribuire torti e ragioni. A rendere nota la sospensione di Alcioni è stato il presidente Bichi, con una circolare che spiega che solo il 16 luglio scorso il tribunale di Milano ha avuto notizia del provvedimento emesso dal Csm a carico di Alcioni che è stato collocato «fuori ruolo». E il posto che gli era stato assegnato alla tredicesima sezione viene riassegnato alla seconda classificata. La condanna a due anni e otto mesi di Alcioni è stata decisa dal tribunale di Brescia, al termine di un processo in cui sono state esaminate una lunga serie di prepotenze - per usare un eufemismo - messe in campo dal magistrato per impedire che un bar, il «Birillo» di viale Monte Nero, si trasferisse sotto casa sua, nel palazzo prospicente. Alcioni era arrivato al punto di fare irruzione negli uffici del Comune cercando di impadronirsi della pratica: «Se voglio, io il fascicolo lo visiono lo stesso. Lo faccio sequestrare e me lo porto a casa». Al barista aveva detto più volte «lei questo bar non lo aprirà mai, lei è a conoscenza del lavoro che svolgo?». La cosa singolare è che il primo procedimento disciplinare a carico di Alcioni risalga addirittura al 1996, quando era pretore ad Abbiategrasso e l'Ordine degli avvocati denunciò una serie di comportamenti anomali, tra cui usare come proprie auto sequestrate e di portare i suoi cani negli spazi del tribunale. Poi nel 2006 era finito nuovamente sotto procedimento disciplinare per avere condannato una società a pagare alla controparte un risarcimento di ben 600mila euro senza motivare la sentenza. Tutte le volte se l'era cavata senza conseguenze.

Ed evidentemente questo lo ha convinto di poter continuare a fare quello che gli pareva.

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