Cronaca locale

"I genitori tornino a fare domande. L'attenzione per i figli può salvarli"

L'esperto di dipendenze, Edoardo Cozzolino: è facile tenere nascosto il consumo di droga

"I genitori tornino a fare domande. L'attenzione per i figli può salvarli"

«Certo, un ragazzo può benissimo tenere nascosto in famiglia il consumo iniziale di sostanze psicoattive. In questo senso i genitori dovrebbero tornare a fare i genitori, con un po' più di sana attenzione a dove vanno e cosa fanno i figli adolescenti». Edoardo Cozzolino è direttore dell'Unità operativa complessa dipendenze dell'Asst Fatebenefratelli-Sacco. Da trent'anni si occupa di abuso di droghe.

Dottore, i genitori non controllano abbastanza i ragazzi?

«Un ragazzo che si sballa una volta a settimana, magari sempre di notte con gli effetti dello stupefacente che dura poche ore, all'inizio può gestire la situazione. E può tenere nascosto l'uso di droghe ai familiari, che non si accorgono di nulla, finché le sue abitudini di vita non cambiano».

Che fare per capire in tempo?

«Mi sembra che oggi i ragazzi dispongano di una eccessiva disponibilità della gestione del proprio tempo. Mi spiego: se avessi un figlio adolescente, non gli darei le chiavi di casa a 13 anni e non gli permetterei di tornare alle 5 del mattino. Comunque lo aspetterei alzato, non tanto per controllare se ha preso droghe quanto per vederlo, per fargli sapere che ci sono».

Non è invasivo?

«È recuperare il ruolo di guida per i figli. A volte i genitori mascherano la propria disattenzione da rispetto della privacy dei ragazzi, con la benedizione del politicamente corretto. Sapere cosa fa un figlio, conoscere i suoi amici, chiedergli dove va spesso può aiutare a ridurre i rischi».

Perché gli adolescenti subiscono l'intramontabile fascino dello sballo?

«Il ragazzo tra i 13 e i 19 anni ha il gravosissimo compito di passare dall'infanzia all'età adulta. Lo fa carico di curiosità ma anche di paura e senso di inadeguatezza. Vuole esplorare un mondo che non conosce, senza però mostrare la propria inquietudine. Fare cose rischiose, emozionanti è un modo per dimostrare di non avere paura e di non essere più un bambino. Non a caso tutti i riti di passaggio, anche tribali, prevedevano il superamento di prove dolorose o paurose. Ma c'è anche una ragione neurobiologica»

Quale?

«Sta nei tempi di sviluppo diversi delle aree del cervello. Quelle che ci permettono di calcolare razionalmente rischi e benefici di un'azione si sviluppano intorno ai 25 anni. Ma a 13 sono già attive quelle che ci spingono a muoverci impulsivamente, qui e ora. A quell'età ci piace il rischio, facciamo stupidaggini come ubriacarci, provare droghe, impennare con la moto...».

Che tipo di pazienti vedete?

«Ragazzi che sempre di più assumono sostanze note per il loro effetto psicotropo, ma non considerate ufficialmente stupefacenti. Le trovano con facilità in negozi o sul web sotto forma di deodoranti per ambiente e sali da bagno. Contengono catinoni sintetici, cannabinoidi sintetici, ketamina. Gli adolescenti le prendono con leggerezza, ma gli effetti sono molto pericolosi».

Sono i malati mentali di domani?

«Malattia mentale e uso di droghe sono fattori che si possono incrociare e potenziare a vicenda. È importante però che in caso di doppia diagnosi si intervenga in modo multidisciplinare.

Che si associno servizi psichiatrici e servizi per la dipendenza, terapia, coinvolgimento della famiglia e aspetti sociali».

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