Cronaca locale

I totem di Favelli ridanno «Senso» al Diurno

Negli ex bagni quattro installazioni dell'artista fiorentino ispirate alla pellicola di Visconti

Francesca Amè

Nascosto sotto piazza Oberdan, in porta Venezia, se ne stava l'Albergo Diurno: bagni pubblici, terme, negozi di parrucchiera e barberia, il salone per la manicure. Scendevi le scale e ti si apriva un mondo di benessere, a misura di (quasi) tutti: c'era anche un'agenzia di viaggi, in questo spazio arredato in modo elegante e ricercato, con decori in stile Déco. Lo aveva progettato il grande Piero Portaluppi negli anni Venti e ha segnato la storia della buona borghesia milanese. Poi c'è stata la chiusura, l'abbandono decennale e la recente riqualificazione dello spazio grazie al FAI che lo scorso anno affidò all'estro irriverente dell'artista inglese Sarah Lucas il compito di far rivivere di bellezza tutto l'ambiente. Ora, in occasione di MiArt, un altro intervento artistico, temporaneo e site-specific, occupa gli spazi: lo firma, con il titolo «Senso80» e la complicità del FAI, il fiorentino Flavio Favelli (fino al 14 maggio, ingresso libero). Non è certo la prima volta che l'artista riflette sul tema della «memoria degli spazi»: il titolo del suo lavoro rievoca la celeberrima pellicola di Luchino Visconti ed è un omaggio alla funzione, estetica e catartica, del Diurno che fu prima di tutto «spazio del piacere» per Milano. Richiama inoltre un altro periodo, quello degli anni '80, decisamente caratterizzato dall'edonismo e dal culto del corpo. Scendendo le scale che portano al Diurno, troviamo quattro installazioni: divani, sedie, tavoli e lampade in stile anni Venti sono assemblati in una sorta di sculture-totem. Ci ricordano gli arredi dell'epoca e restituiscono, con una grazia un po' nostalgica, l'atmosfera delle cartoline ricordo. La luce però stride, e volutamente, con tutte le installazioni: la luminosità bianca del neon rammenta che tutto ciò che vediamo ora è finzione e che il passato è passato davvero. Ci si aggira nello spazio sotterraneo e gli occhi vanno ai corridoi, dove spiccano strane insegne luminose: sono collage di diverse pubblicità, con grafiche tra loro mescolate e poco comprensibili. Ricordano i negozi che il Diurno ospitava un tempo: «Era come un aeroporto ha detto l'artista una micro-città che serviva per l'uomo e la donna moderna. Era un luogo super artificiale».

È dunque l'artificio il senso ultimo di questo spazio? Forse.

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