Piera Anna Franini
Da quest'oggi al 30 maggio, il Museo Teatrale alla Scala offre un viaggio che attraversa 143 anni di vita scaligera riflessa nei suoi 155 palchi e nelle vicende dei 1223 proprietari. Si parte con il 1778, anno di fondazione della Scala, e si approda al 1920 in coincidenza con l'esproprio dei palchi privati. Sono stati giovani studiosi di musicologia del Conservatorio a rovistare fra gli archivi traendo una montagna di dati e notizie ora consultabili negli spazi della mostra e da dicembre anche sul sito della Scala, s'aggiunga il bel volume edito dalla Treccani. Con un click sul singolo palco, esce l'identikit del proprietario, dell'affittuario e di chi lo frequentò: professione, interessi, curiosità. Partendo dai singoli, ricavi lo spaccato della Milano dell'epoca. Così, si scopre che in coda al Settecento, solo 1 proprietario su 4 era donna, proporzione che a lungo fu di 1 a 3, ma che nel Novecento divenne di 1 a 2. E ancora. I nobili detenevano il monopolio incontrastato, quasi totale, durante la fase della Restaurazione. Ma i 21 imprenditori e i 10 professionisti del 1778 diventano rispettivamente 51 e 37 durante la fase napoleonica, dopo il calo fisiologico dettato dalla Restaurazione si ebbe un crescendo continuo: già dopo l'Unità d'Italia, la borghesia rampante aveva doppiato la sua presenza. Gli imprenditori erano consapevoli che l'appartenenza all'élite meneghina aveva il suo sigillo nella proprietà . Proprietà ma anche affitto perché furono anzitutto i professionisti e gli imprenditori a optare per l'affitto anziché acquisto di un palco. Anzitutto per ragioni pratiche, non potendolo frequentare i classici quattro o cinque giorni concessi alla nobiltà. Dopotutto bastava esserci, meglio se nel momento giusto. E i nobili potevano mettere a reddito proprietà che garantivano profitti maggiori rispetto a qualsiasi altro edificio urbano, secondo la logica dell'airbnb. Che si trattasse di affitto o proprietà, una cosa era certa: alla Scala dovevi esserci trattandosi del centro di gravità della vita milanese, come osservò un visitatore illustre come Franz Liszt, pianista, compositore ma anche fenomenale manager di sé e dunque sensibile agli aspetti sociologici. Palco, sorta di palcoscenico in miniatura. Puoi vedere: ecco l'iconico cannocchiale per mettere a fuoco l'allestimento ma anche per frugare tra i palchi altrui. Viceversa, nel palco ti offri ai cannocchiali dei vicini. E' poi un salotto dove ricevere, e se ricevi poco ahi, sei caduto in disgrazia, perdi quota. Palchi che durante la fase risorgimentale furono il magnete di tanti patrioti. Lì si cospirava, e soprattutto nel terzo palco del III ordine che ospitava Silvio Pellico e Piero Maroncelli. Temibile anche il quinto al I ordine considerato che a frequentarlo era Federico Confalonieri. Nella galleria degli intellettuali c'è Alessandro Manzoni, spesso ospite nel palco numero 13, III ordine, mentre Ugo Foscolo era nel n.7, I ordine, Giuseppe Parini era nel n.5 , II ordine e Pietro Verri nel n. 16 del I ordine. .
Questa mappatura è senza dubbio l'aspetto più intrigante della mostra curata da PierLuigi Pizzi che ha collocato i 143 anni nel contesto più ampio della storia della Scala.
SI è infatti spinto fino ai giorni nostri selezionando le foto iconiche di tante prime della Scala e non solo. Perché una sorta al, Piermarini spesso è l'omaggio di Bellezza offerto a personaggi illustri in visita a Milano: dal Re Juan Carlos di Spagna, a Elisabetta II Regina d'Inghilterra e Lady Diana.