Cronaca locale

«Io, bergamasco anomalo porto arte nell'antica Roma»

L'architetto Tullio Leggeri racconta la «sua» mostra al Palatino: cento opere contemporanee tra le rovine

Di professione fa il costruttore edile, ma metà della sua vita l'ha impiegata a costruire sogni al fianco dei giovani talenti dell'arte contemporanea, di cui ha finanziato i progetti e da cui ha acquisito migliaia di opere che lo hanno reso uno dei più noti collezionisti italiani. Il risultato della grande passione dell'architetto bergamasco Tullio Leggeri è nell'acronimo ALT, che sta per Arte Lavoro Territorio: ovvero un affascinante e immenso spazio realizzato in un vecchio complesso industriale ad Alzano Lombardo che raccoglie la sua collezione ma ospita residenze, ateliers, una libreria e un ristorante. Oggi un centinaio di quelle opere - da Maurizio Cattelan a Marina Abramovic, da Marcel Duchamp a Paul McCarthy - dialogano con le rovine archeologiche del Palatino a Roma, in una mostra a cura di Alberto Fiz. È la prima volta che il nucleo centrale della collezione iniziata da Leggeri negli anni Sessanta («sempre con i giovani o con artisti che ancora costavano poco») lascia la fabbrica-museo di Alzano, in questo caso anche con grandi e paradossali installazioni esterne. Tra cui la riproduzione della casetta sbilenca di Buster Keaton degli artisti Vedovamazzei, la ricostruzione dell'atelier di Giovanni Segantini in Engadina (Luca Vitone), o il «multiconfessionale laico» di Michelangelo Pistoletto. Opere ironiche, spesso grottesche ma di sicuro impatto, al punto che la mostra inaugurata a giugno (fino a ottobre) sta riscuotendo un largo successo di pubblico. «Far circolare la collezione è perfettamente in linea con la mia filosofia, che è quella di intendere l'arte come condivisione, talvolta provocazione, ma sempre confronto» dice Leggeri che in passato ha spesso coinvolto i «suoi» giovani artisti anche nella progettazione delle sue costruzioni edilizie. Ma non solo. In alcuni casi la sua attività mecenatistica si è allargata anche sul territorio pubblico. Come quando fece commissionare agli artisti Mario Airò e Stefano Arienti la realizzazione di un altare contemporaneo per la chiesa di San Giacomo a Sendrina in Val Brembana; o come quando, nel '92, finanziò l'installazione performativa «Le Ruote» di Mario Staccioli, giganteschi cerchi che vennero fatti rotolare sul prato di Fara, a Bergamo Alta. «I miei concittadini non capirono e i giornali locali, con in testa Feltri, mi attaccarono. Ma d'altra parte sono sempre stato un bergamasco per certi versi anomalo: non ho mai comprato arte per fare investimenti. Ma anzi, quanto più un artista è sconosciuto e fa qualcosa di nuovo e che nemmeno capisco, tanto più mi intriga e mi decido a comprare». Oggi, con la crisi dell'edilizia, ha rallentato la collezione «ma solo un po'». In compenso, la sua suggestiva fabbrica-museo di 3.600 mq ospita eventi e meeting culturali, performance teatrali e sfilate di moda. E un regalo Leggeri lo ha fatto anche a Milano, ricostruendo il Teatro Continuo a parco Sempione: «Quando lo fece Burri non stava in piedi...

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