Cronaca locale

Lista Maroni all'attacco: chiede un voto in aula contro la riforma Renzi

Pronta una mozione per ricorrere alla Consulta ed evitare così il referendum del 4 dicembre

Federica Venni

Roberto Maroni potrebbe impugnare davanti alla Corte Costituzionale la Riforma costituzionale. Sembra un gioco di parole, ma è la sintesi di una mozione che verrà votata martedì prossimo al Pirellone. Firmato dal capogruppo della lista Maroni Presidente Stefano Bruno Galli, il documento dà mandato al governatore per ricorrere davanti alla Consulta contro la riforma Boschi, sulla quale i cittadini si esprimeranno con il referendum del 4 dicembre.

Motivo? Il parlamento che ha approvato la riforma costituzionale del governo Renzi, benché legittimo, sarebbe però delegittimato a votare una legge di riforma della Costituzione perché norma di rango superiore rispetto ad una legge ordinaria. Dopo la sentenza della Corte che il 13 gennaio 2014 ha bocciato il Porcellum la legge elettorale - l'attuale parlamento, dice chi propone la mozione, dovrebbe limitarsi all'ordinaria amministrazione: riforma della Pa, della giustizia, del lavoro, delle pensioni. Di tutto, insomma, tranne che della legge che punta a cambiare la Carta. La riforma Boschi, dunque, sarebbe stata licenziata da un parlamento senza titoli per farlo, senza «potere costituente».

Se in aula sarà chiesto lo scrutinio segreto è probabile che il documento venga votato dalla maggioranza, eccetto qualche consigliere di Lombardia Popolare (ex Ncd), con un aiutino dei grillini che, su questi temi, sono sempre stati sensibili ad un'alleanza con Maroni. Non è escluso che ci pensi anche qualcuno del Pd, visto che il disagio contro questa riforma costituzionale, in seno ai Dem, sta crescendo anche al Pirellone. «In effetti spiega Stefano Bruno Galli è un atto politico forte far ricorso alla Corte Costituzionale contro la riforma Renzi-Boschi. I profili di incostituzionalità sono tanti, ma ce n'è uno che pesa più di tutti: l'assenza di potere costituente di questo parlamento che non poteva rivedere la Costituzione per un deficit di legittimazione, come ha scritto con chiarezza la Consulta nella sua sentenza contro il Porcellum. Insomma, questo referendum potrebbe anche saltare».

Cavilli giuridici e tattiche politiche a parte, la mossa si inserisce nella cornice dell'opposizione che le regioni del Nord, Lombardia in testa, portano avanti contro la riforma Boschi che, rinegoziando la suddivisione dei poteri tra Stato e Regioni, indebolisce fortemente le ultime. La prima tappa di questo «fronte istituzionale per il No» sarà il 13 ottobre a Milano e vedrà come protagonisti, oltre allo stesso Maroni, anche il governatore della Liguria Giovanni Toti e quello del Veneto Luca Zaia. Un trio compatto anche su altri temi come quello l'immigrazione e l'Europa. Da qui al 4 dicembre la campagna per il No, almeno sul fronte lombardo, si concentrerà sul Titolo V: il carattere fortemente centralista della riforma riporterebbe il rapporto tra Stato e Regioni a vent'anni fa, con buona pace per ogni speranza federalista, fiscale o meno.

Tornando alla mozione che sarà discussa lunedì, il testo recita: «Il consiglio regionale lombardo impegna il presidente di Regione Lombardia a valutare i profili di incostituzionalità e dunque l'opportunità di depositare un ricorso avverso la legge costituzionale».

Cosa deciderà la Consulta è un'altra storia, intanto il ricorso rappresenterebbe un preciso segnale politico, oltre che istituzionale.

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