Cronaca locale

Majorino corre da sindaco di Milano, ma il suo è un Pisapia-bis

Chiama a raccolta i suoi nel più radical-chic dei salotti. Il delfino di Pisapia è pronto a prendere il posto del suo predecessore

Majorino corre da sindaco di Milano, ma il suo è un Pisapia-bis

Piefrancesco Majorino chiama a raccolta i suoi nel più radical-chic dei salotti milanesi, il teatro Litta. Lo si sapeva da tempo, il centrosinistra si prepara alle comunali del 2016 schierando per primo il delfino di Pisapia. Il bravo ragazzo, liceo Parini, impegnato nel sociale, consigliere comunale prima e assessore al welfare poi.

Rappresenta la continuità assoluta con il sindaco uscente, da cui è stato in parte allevato e di cui ora vuole ripetere le orme. Majorino si presenta in giacca e cravatta, capelli e barba tagliati corti, come a voler comunicare un’impressione più istituzionale a chi è abituato a vederlo in maniche di camicia.

Alla platea di un Litta affollatissimo e accaldato Majorino sciorina un discorso che non riserva sorprese. Usa il turibolo senza risparmio, incensando Pisapia e tutta la giunta: rivendica con orgoglio le lotte sociali, parla senza fiato del lavoro fatto in questi cinque anni per realizzare il programma della sinistra vincitrice nel 2011.

Dopo anni di gavetta è il suo momento: si dice pronto a essere gentile ma anche a fare la faccia feroce, “combatteremo a muso duro la destra becera e affarista”, che secondo lui ha rappresentato il “momento peggiore della storia recente di Milano”.

Non ha paura di passare per le primarie “senza se e senza ma”, anche perché in sala, tra pashmine di cachemire e toppe di velluto siede il piddì Fiano, un altro che vuole piantare il proprio stendardo sullo scranno più alto di Palazzo Marino.

Con gli amici Majorino è indulgente, ammette che la macchina comunale “va rivoluzionata radicalmente”, i dipendenti “rimotivati”, il piano casa “accelerato”. Naturalmente la colpa del lavoro non fatto è di altri, Alfano, Monti, la Moratti…

L’unica, indiretta, stoccata a sinistra è riservata agli amici romani, a cui si ricorda che “a Milano sappiamo scegliere da soli i candidati”. Il messaggio per Renzi è chiaro: all’ombra della Madonnina, la sinistra segue il modello Pisapia e non è disposta ad accettare alleanze che guardano al centro.

Le parole sono quelle di sempre, “bellezza, benessere, legalità, diritti, riscatto”. I concetti vaghi e un po’ retorici, forse per la paura di indicare le mancanze – che non sono poche – della giunta uscente. Quando il candidato chiede (al Viminale, beninteso) più polizia e indirettamente più sicurezza, non applaude nessuno. Il pubblico è lo stesso che ha eletto Pisapia, di istanze nuove non ce ne sono.

Al termine del discorso giungono i saluti del sindaco, Roberto Vecchioni, tutto il pantheon della sinistra meneghina. Fuori, tra le zanzare, gli addetti dello staff distribuiscono volantini con un pallone da calcio, “la partita della città”.

Nonostante la metafora sportiva, il tifo non sembra più caldo dell’afa di luglio e gli aficionados assomigliano più a vecchi tifosi abbonati da anni che non a nuovi fan attirati allo stadio da uno squadrone pigliatutto. La candidatura è la replica esatta di quella di Pisapia, lo smalto sembra molto meno brillante. A Majorino, però, va riconosciuta almeno l’onestà.

Che purtroppo, però, non basta.

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