Cronaca locale

Martina, la mantide che ispirava una setta

Le motivazioni della condanna della Levato e dei suoi complici. «Era una sacerdotessa»

Luca Fazzo

È un lungo viaggio nell'orrore, quello che il giudice Roberto Arnaldi mette nero su bianco nelle 117 pagine della sentenza depositata ieri, a chiusura del terzo processo per la vicenda degli amanti dell'acido. Le imprese di Alex Boettcher e Martina Levato si sono frantumate davanti ai giudici in tre rivoli, figli delle diverse strategie degli imputati. E ogni volta, i giudici si sono trovati a dover dare un senso a ciò che un senso forse non ha, la catena di violenza scatenata dai due ragazzi contro chiunque avesse la colpa di avere avuto rapporti sessuali con Martina.

Al giudice Arnaldi è toccato il processo con rito abbreviato a Martina e al terzo membro della banda, il bancario Andrea Magnani, strano tipo che nella sentenza viene efficacemente descritto: «Personalità caratterizzata da fragilità, rigidità, marcate difficoltà a livello emotivo, modeste risorse, mancanza di leadership». Un gregario, insomma, plagiato da Alex quanto e più di Martina, ma che alla aggressioni a base di acido solforico ha dato un contributo logistico decisivo. E Martina lo ha ringraziato scaraventandogli addosso ogni genere di colpe, con l'intento fin troppo smaccato di proteggere Alex.

Per il giudice Arnaldi, Martina e Magnani sono colpevoli con assoluta certezza di tutte le aggressioni, per cui lo stesso Barbini è già stato condannato a parte a 23 anni. C'erano loro due, insieme a Barbini, quando venne colpito per errore il povero Stefano Savi, e c'erano loro anche quando ci riprovarono col bersaglio giusto, Giuliano Carparelli. E Magnani c'era anche la sera dell'agguato finale, quando la sera del 28 dicembre 2014 presero di mira Pietro Barbini, anche lui colpevole di essere andato a letto con Martina.

Ai due, il giudice Arnaldi ha inflitto pene più lievi di quanto aveva chiesto il pm Marcello Musso: alla Levato sedici anni invece di venti, a Magnani nove invece di quattordici. E Musso quasi certamente ricorrerà in appello per ottenere pene più severe. Ma se non nel computo degli anni, il pm si vede dare ragione sulla lettura complessiva della sconcertante vicenda: non singoli episodi, ma una sorta di setta, con le sue paranoie e i suoi riti. «Esistono tre persone che in pieno accordo hanno organizzato e fornito i mezzi per il perseguimento di un programma criminale: ripercorrere il passato sessuale di Martina Levato e colpire gli uomini che avevano intrattenuto una qualche relazione con lei». E se Alex era indubbiamente la mente, era Martina a venire investita quasi da un ruolo sacerdotale: «Quando si tratta di passare all'azione, Martina si trasforma in uno spietato e freddo interprete.

D'altronde è lei la peccatrice e quindi è lei che deve espiare, essendo nella logica necessaria del delitto che sia Martina a cancellare i suoi errori cancellando il viso dei suoi amanti transitori».

Commenti