Cronaca locale

Maxi rogo dei rifiuti: dodici le condanne

L'incendio di via Chiasserini durò giorni e generò fumi tossici. Pene oltre i sei anni

Maxi rogo dei rifiuti: dodici le condanne

Per spegnerlo ci vollero 172 equipaggi dei pompieri. L'incendio che l'11 ottobre dello scorso anno venne scatenato in via Chiasserini, alla Bovisasca appestò per settimane l'aria intorno al vecchio capannone abbandonato. Chi abbia appiccato il fuoco ancora non si sa. Ma mentre spargeva polvere tossiche sul quartiere, il rogo contribuiva ad alzare un velo: quello sul racket, fino ad allora ignorato, dello smaltimento dei rifiuti, il traffico illecito che ha fatto di Milano e del suo hinterland una «terra dei fuochi» paragonabile alle zone della Campania dove imperversano i clan.

Ieri arrivano le sentenze che - in tempi straordinariamente brevi - chiudono le indagini del pm Donata Costa scaturite dall'incendio in via Chiasserini. Mentre la caccia agli incendiari continua, a finire condannati sono i responsabili della trasformazione del capannone in discarica. Otto condanne con rito abbreviato o patteggiamento, altre quattro nel processo celebrato davanti all'ottava sezione penale.

La pena più pesante, sei anni e mezzo di carcere, va al padrone di fatto della Ipb, la società proprietaria dei terreni: si chiama Aldo Bosina, è un signore novarese di 55 anni, che oltre al capannone alla Bovisasca gestiva altre tre discariche abusive. Si ripete, insomma, uno schema ormai attuale: imprenditori lombardi senza pedigree malavitosi che in nome dei quattrini scendono a patti con gli ecotrafficanti venuti dal Sud.

In via Chiasserini infatti - come hanno accertato nel frattempo le indagini dei carabinieri - finiva una parte delle migliaia di tonnellate di rifiuti raccolti a Napoli dall'azienda pubblica della nettezza urbana e smaltiti abusivamente sotto la regia di un giovanotto calabrese, già processato e assolto per associazione mafiosa, Angelo Romanello. Il metodo era sempre lo stesso: individuare, tra le migliaia di capannoni dismessi dalla crisi economica, strutture in grado di accumulare montagne di immondizia; smaltire una parte regolarmente, una parte - assai più grossa - irregolarmente, accumulare quanto restava e poi buttare una molotov sulla montagna di immondizia.

Esattamente questo accadde un anno fa in via Chiasserini. Tre giorni prima dell'incendio, l'8 ottobre, i capannoni avevano ricevuto la visita dei tecnici della Provincia che vi avevano trovato accumulate 16mila tonnellate di rifiuti di ogni genere. E se ne erano andati senza poter sequestrare l'area, non avendo la qualifica di pubblici ufficiali.

A quel punto c'era un solo modo per fare sparire le prove: è «altamente probabile che l'incendio fosse servito a smaltire illegalmente, bruciandoli, i rifiuti ivi stoccati per i sopravvenuti ostacoli a trasferirli in altri siti, oppure a nascondere le prove del traffico di rifiuti svolto dagli imputati», scrive il giudice Maria Teresa De Pascale nella sentenza emessa ieri.

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