Cronaca locale

Milano mette il velo

Cittadinanza onoraria alla paladina delle iraniane Ma le donne con il volto coperto sono sempre di più

Milano mette il velo

Milano mette il velo. Anzi, il niqab, la veste pesante (e spesso scura) che copre il volto e il corpo delle donne, nascondendole al mondo e negando loro un’identità. Milano mette il niqab, dalle vie del centro ai casermoni di periferia. Donne pesantemente velate da tessuti di pregio si vedono nel Quadrilatero della moda, in piazza San Babila e in via Montenapoleone, in quel pezzo di città che anche in questi giorni richiama turisti ricchi da ogni parte del mondo, compresi i Paesi del Golfo. Sono spesso saudite, accompagnate da facoltosi mariti vestiti sportivi e sono cariche di borse, risultato di uno shopping con alti livelli di budget. Sempre più frequenti, quasi una nuova moda, sono le «veline» semitrasparenti che si accompagnano al rigido niqab ma lasciano sperare nel passaggio a veli meno invasivi, o almeno fanno supporre una qualche attenuazione di una «regola» che in questi giorni di gran caldo salta agli occhi ancor di più. «Potremmo definirlo velo 2.0, si vede e non si vede - spiega Maryan Ismail, sufi ed esponente della comunità somala, da anni impegnata nella battaglia per la libertà delle donne musulmane - un timido passo probabilmente per girare in hijab. Mettere il velo così trasparente su un niqab significa forse volerlo abbandonare, per poi passare al hijab. Il velo davanti alla bocca è più semplice toglierlo con una specie di mix fra niqab e hijab. Le donne modificheranno i precetti attraverso una moda inventata, e poi inventeranno qualcosa per abbandonare anche il hijab rivisitandolo in chiave moderna. Noi attendiamo con speranza».

Ma donne velate si vedono anche nelle vie dei quartieri più periferici, nell'altro «quadrilatero» per esempio, quello San Siro, o davanti ai casermoni delle case popolari ormai quasi interamente abitati da stranieri.

Sono due mondi distinti, che non si toccheranno mai direttamente, molto più distanti delle poche fermate di metropolitana che accidentalmente li separano. Due mondi lontani eppure uniti da questo denominatore: le donne sono nascoste, prigioniere, non si devono guardare, sono «proprietà privata» di mariti abbigliati con bermuda e maglietta.

In alcuni paesi europei si stanno adottando normative che regolano il velo. Ultima l'Austria. Dopo la messa al bando due anni fa di burqa e niqab negli uffici pubblici, e dopo lo stop stabilito a novembre per i veli negli asili come misura anti-indottrinamento religioso, a maggio Vienna ha vietato il velo nelle scuole elementari, approvando coi voti della maggioranza di centrodestra - ora andata in crisi - una legge che proibisce di «indossare indumenti religiosi che coprano la testa». Un anno fa anche la Danimarca ha approvato una legge che proibisce burqa, niqab e altri «veli» che coprano il viso. Ma tre anni fa anche la Regione Lombardia ha vietato il velo negli uffici: «Per ragioni di sicurezza è vietato l`ingresso con il volto coperto», si legge nei cartelli che impediscono l'accesso col volto «travisato» all'ingresso degli ospedali e degli uffici regionali. Sono accompagnati a simboli simili a quelli indicati dal codice della strada. Un casco integrale accanto a un passamontagna e a un niqab, appunto.

Per quanto timidamente questa usanza cambi, il velo pesante imposto alle donne resta strumento e simbolo di oppressione. E Milano è la città che ha conferito la cittadinanza onoraria a Nasrin Sotoudeh, avvocata paladina delle donne iraniane, condannata a 33 anni di carcere e a 148 frustate.

Alberto Giannoni

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