Cronaca locale

Modì tra suggestione e gusto La mostra diventa racconto

Il livornese nel ciclo «experience» dopo Klimt e Chagall In mostra due dipinti originali oltre a film e immagini

Francesca Amè

Parola d'ordine: experience. Le mostre oggi sono sempre più un'esperienza sensoriale: gli occhi da soli non bastano, vanno aggiunte le musiche giuste, i profumi, gli effetti speciali e un corposo corredo multimediale che appaghi la fruizione di visitatori ormai assuefatti alla velocità del digitale. E così, in tutto il mondo come nel nostro Paese, si susseguono «experience» artistiche di vario genere: Milano ha ospitato anni fa Van Gogh (antesignana del genere) poi è stata la volta di Klimt, Chagall e ora - in un progetto del Mudec e del Museo del Novecento - «Modigliani Art Experience» (da oggi al 4 novembre, al Mudec di via Tortona 56).

Cominciamo col dire che, nel progetto ideato da Crossmedia Group e curato da Francesco Poli, di quadri originali di Amedeo Modigliani (1884-1920) ce ne sono solo due: piccoli nel formato ma significativi nell'esecuzione, si trovano in una «sala scrigno» che precede l'experience, ma, a nostro giudizio, è il cuore pulsante del progetto. Si tratta del ritratto di Beatrice Hastings e di Rosa Porporina, entrambi del 1915 ed esposti ora al Mudec grazie al prestito del Museo del Novecento: felice il confronto tra i due volti di donna e alcune sculture di arte africana risalenti al secolo scorso, provenienti dalla collezione permanente del museo.

La struttura dell'ovale femminile, il taglio mandorlato degli occhi, per non tacere del tipico (modiglianesco) collo lungo sono la cifra più evidente del fascino che la produzione primitiva africana esercitò sull'artista livornese: una passione e una conoscenza approfondite durante il suo lungo soggiorno parigino, grazie alla visione delle opere esotiche importate in Europa per rispondere alla crescente domanda di collezionisti affamati di novità. Modí, scapestrato e geniale, con pochi soldi in tasca ma grandi ambizioni, riuscì nel miracolo di sintetizzare in uno stile inconfondibile arte africana e antica tradizione italiana. Essenziale, intensa: la mano di Amedeo Modigliani, sia che si esprima con disegni su tela sia che modelli il marmo nelle sue celebri sculture, seduce.

Vale dunque la pena gustarsi, seduti su apposite panche, la vera e propria «experience room»: per un'ora, con immagini che scorrono alle pareti in un unico flusso e in una narrazione quasi trasognata, si ripercorre la vita dell'artista, dagli esordi e dalla formazione a Firenze e a Venezia, alla fuga a Parigi dove, personaggio tra i personaggi di Montparnasse e Montmartre degli inizi del Novecento, passerà la maggior parte della sua breve esistenza. Muore a soli 35 anni per tubercolosi, dopo i rovinosi anni della guerra, il trasferimento a Nizza, i malanni, la dipendenza dall'alcol. La Ville Lumiere culla gli anni di amicizie feconde, come quella con il grande scultore Brancusi, e di amori catastrofici, come la relazione con Jeanne Hébuterne, anch'ella pittrice: entriamo nella vita e nell'atelier di Modigliani grazie a un centinaio di immagini che alternano fotografie d'epoca dell'artista e della sua cerchia bohémien a riproduzioni in alta qualità delle sue opere. Il tutto è impreziosito da un tappeto musicale che mescola la lirica dei teatri dell'epoca al sound dei caffè letterari frequentati da Modì.

Il percorso di visita si chiude sulla «infinity room», una sala degli specchi (perfetta per finire su Instagram) su cui sono proiettate elaborazioni delle sue opere più importanti tra cui il ritratto di Jeanne - che con i suoi ipnotici occhi azzurri è l'immagine-simbolo della mostra - e il «Nudo disteso».

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