Cronaca locale

La morte di Euridice e il dolore di Orfeo in un mito rivisitato

Da domani alla Scala la celebre opera di Gluck con tre soli artisti in scena

La morte di Euridice e il dolore di Orfeo in un mito rivisitato

È essenziale la trama dell'opera che da domani al 17 marzo va in scena alla Scala. Orphée et Euridice, l'opera-manifesto della riforma di Gluck e Calzabigi, musicista il primo, librettista il secondo. Orphée è lacerato dal dolore: l'amata Euridice è morta. Lui è un musicista, anzi il musicista per eccellenza: cantando accompagnato dalla lira placa le belve e anima l'inanimato. Così che convince gli dei a farlo scendere nell'oltretomba per riprendersi la moglie. Tuttavia non rispetta i patti, non avrebbe dovuto girarsi a guardare Euridice, ma lo fa cedendo alle pressioni della donna che svanirà per sempre. Non vi sono storie parallele o falangi di personaggi secondari. In scena avremo Orphée, Euridice e Amore. È una vicenda nitida. In piena età dei Lumi, e dunque di rivoluzioni di ogni genere, Gluck decise di riformare un genere in cui non si riconosceva più. Volle una storia cristallina, instillò il senso del dramma in ogni componente, ballo compreso, eliminò le arie forgiate su misura dei capricci del divo/a di turno. Gluck vinse la sfida? In parte sì, considerato che il suo Orfeo compare fra i pochi esemplari dell'epoca a essere entrato nei repertori dei teatri. Per la verità, è la prima volta che la Scala presenta la versione di Parigi, sia Furtwängler sia Muti diressero l'edizione italiana.

Il punto di forza di quest'ultimo Orphée sta nell'ottimo tenore nei panni di Orphée. È Juan Diego Florez, belcantista squisito, assai conosciuto e amato alla Scala dove canta regolarmente dal 1996: era nel cast di Armide di Gluck. Christiane Karg sarà Euridice e Fatma Said (ex allieva dell'Accademia) sarà Amore. Sul podio Michele Mariotti che ammette di sentirsi un po' Orfeo non potendo vedere i cantanti. Che in questa produzione sono alle spalle del direttore. L'orchestra è su un ponte mobile, all'alzata del sipario, talvolta salirà lasciando spazio a ballerini e cantanti, ma capiterà pure che sprofondi nell'oscurità degli abissi. «La musica è al centro di questa vicenda, poiché traduce il dolore della perdita e racconta l'amore. Per questo abbiamo posto l'orchestra in palcoscenico», spiega il regista John Fulljames, in maggio atteso a Lione per la prima assoluta di un'opera di Alexander Raskatov. Firmò Orphée et Euridice a Londra, nel 2015, e Florez ne fu così conquistato da suggerirlo alla Scala. Una produzione intensa, ma essenziale: come avrebbe voluto Gluck. «Vogliamo raccontare una storia semplice e umana. C'è il dolore per la perdita di una persona amata, la non accettazione del lutto e poi la elaborazione. Ciò che consente questo processo è la musica. E ancor oggi, la musica non riporta in vita nessuno, però rende la vita più ricca», spiega Fulljames. L'opera apre con la disperazione di un uomo e chiude con la sua accettazione. «Mi piace questo modo di interpretare il mito. Lo condivido perché mi consente di essere vero. Quando Orfeo perde definitivamente Euridice attraversa un momento estremamente difficile, per questo io canterò 3 do acuti. Diciamo che in generale la tessitura è acuta. Anzi, devo dire che non ho mai cantato un'opera così acuta», dice Florez che paragona il ruolo di Orphée a quello di Romeo e Werther, nel senso che tutti e tre sono soli, «in questo Orphée è come se fossi solo in uno spazio cosmico».

La versione parigina, rispetto all'originale viennese è ricca di balli. Li cura il coreografo Hofesh Shechter, legato alla danza contemporanea.

In questa produzione c'è un'esplosione di fantasia».

Commenti