Cronaca locale

"Le musulmane e il sesso Contro gli integralisti racconto l'ultimo tabù"

Rania Ibrahim, milanese di origini egiziane, sfida con il sorriso gli oscurantisti dell'islam

"Le musulmane e il sesso Contro gli integralisti racconto l'ultimo tabù"

L'imene delle figlie vale più del loro sorriso. È un islamismo ossessionato dai tabù quello che descrive Rania Ibrahim. È un pezzo di mondo arabo musulmano impazzito davanti all'idea di una donna libera; libera di amare, di studiare, di sorridere e di vivere.

E invece Rania sorride ed è felice. È sposata, ha quattro figli, 40 anni, vive a Milano da quando ne aveva 2, è musulmana, prega e rispetta i precetti. Ma non china il capo di fronte ai bigotti. E alla fine ha scritto quel romanzo che le ronzava in testa da anni. «Islam in love» si tintola ed è uno schiaffo all'oscurantismo, a un islam che si è fatto ideologia. «Una sfida? No, una consapevolezza. Il sesso al di fuori del matrimonio nel mondo islamico è proibito, è haram». Proibito. Qualcosa di più e di diverso di un «semplice» peccato. Una ragazza troppo libera viene isolata, emarginata: «La comunità ti mette al bando e in alcuni casi più estremi può capitare una famiglia che sotterra le proprie figlie». A pochi chilometri da Milano, nel Bresciano, è stata sgozzata e sepolta nell'orto di casa la povera Hina Saleem, che lavorava in pizzeria e non voleva sposare l'uomo cui era stata promessa dal clan. Viene ricordata come una delle ragazze che voleva vivere all'occidentale.

Il sesso prima del matrimonio è haram, come il sesso fuori da un matrimonio islamico. «Lasciarsi andare, seguire desideri e pulsioni al di fuori del matrimonio è peccato». Haram, halal, houshuma. Proibito, lecito, pudore. Sono le tre h che ripete continuamente la mamma di Laila, la protagonista del romanzo, una giovane anglo-araba velata innamorata di Mark, un non musulmano figlio del leader di un partito di estrema destra nella città di Dover. Laila poi si lascia andare, vive la sua storia mettendo da parte i divieti. Perde la verginità con Mark e va avanti. Dover è lontana ma le giovani arabe e musulmane di Milano certi tabù li vivono sulla loro pelle. «I miei, per esempio - racconta Rania - non erano assolutamente d'accordo che sposassi un non musulmano. E mio marito, che è molto intelligente e viene da una famiglia cattolica praticante, e aveva fatto il chierichetto, mi guardava in modo strano quando si parlava di conversione. La mia giurisdizione oltretutto era egiziana, questo complicava le cose». «Quando ho detto a casa che io mi ero innamorata di un non musulmano mi hanno risposto: perché ci hai fatto questo? Ci mangeranno la faccia».

A Milano si parla di matrimoni combinati, donne che sposano il cugino che vive chissà dove. Si parla di poligamia. «Noi non siamo come loro ci si sente ripetere, c'è un lavaggio del cervello e una condizione schizofrenica fra privato e pubblico». «Per troppi musulmani e musulmane - ha scritto Rania pochi giorni fa - ancora oggi l'imene delle proprie figlie vale più del loro sorriso e qualche volta anche più della loro vita». «Un filino di membrana è più importante della realizzazione o del tuo sorriso». E qui si capisce bene che il sesso alla fine è una metafora della felicità e della libertà: «Io sono sempre stata sincera e aperta, un po' pecora nera - racconta oggi - Non voglio essere una musulmana perfetta e mi hanno fatto capire che non ero un buon esempio per mia figlia». «Per me - riflette - la religione è come un tubino, che si può indossare con accessori diversi. Non vado in moschea, non mi piacciono questi coordinamenti di moschee. Frequentavo il centro islamico nei primi anni Novanta e non ci sono più andata. Credo e prego, poi faccio volontariato in una parrocchia cattolica dove insegno italiano, e mi arrabbio quando vedo mamme che da 6-7 anni sono a Milano e in italiano non riescono neanche a dire alla pediatra mio figlio ha vomitato». Le mamme spesso non sono da meno dei vecchi patriarchi bigotti: «La mamma del romanzo è cattiva, la mia no. Tante non ne fanno passare una alle figlie, stanno dalla parte dell'ipocrisia. Anche le mamme sono implacabili. Le sento, alcune, che dicono: vorrei che la mia facesse orario ridotto, che non stesse troppo con ragazzine occidentali, che non assorbisse troppo il loro stile di vita. Invece la scuola è tutto. È la nostra speranza. E le nostre ragazze sono bravissime». Rania è laureata in Scienze politiche alla Statale e ha un master in Marketing. Quando i genitori sono arrivati in Italia, in Egitto le donne giravano in minigonna. Poi sono arrivati i Fratelli musulmani. Ed è arrivata l'ossessione del sesso e la corsa al velo: «Io non ho mai indossato né velo né maschere. Femminista? Non so, forse perché vivo in un Paese che mi dà possibilità di farlo. Faccio battaglie da casa mia.

Sto bene così e spero di dare coraggio ad altre ragazze».

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