Cronaca locale

Passante ferroviario tra bande e degrado

Tunnel abitati da migranti. C'è una desolazione che fa paura

Giacomo Iacomino

Seduto nel sottopassaggio del passante ferroviario di Certosa c'è Mohammed. Dorme lì quasi tutti i giorni. Parla poco l'italiano, ha 45 anni ed è disoccupato. Accanto a lui una coperta e qualche scatoletta vuota. «Qualche volta dormo da amici. Lavoro? No, niente lavoro». Sono le dieci di sera e lui resta seduto, fissa tutti i passeggeri, lo farà fino all'ultima corsa, di solito intorno a mezzanotte e mezza. Fino a quell'ora è facile incrociare anche un gruppo di sudamericani a torso nudo fuori dalla stazione. Qualche bottiglia di birra sul muretto. Non avranno più di 30 anni. «Hai una sigaretta?». Fanno questa domanda a chiunque passi. Le donne tirano dritto. Gli uffici del capo stazione sono in fondo, troppo in fondo al binario per un intervento immediato. «No, mi spiace non fumo» risponde un anziano. Fa per proseguire, poi torna sui suoi passi: «Ragazzi però stavolta buttatele via tutte queste bottiglie, non lasciatele qui come al solito». Risate. I ragazzi vanno via una mezz'ora dopo, direzione Triboniano, i rifiuti rimangono là, quasi come a marchiare il territorio.

Le bottiglie sono un po' il biglietto da visita di parecchie fermate del passante ferroviario.

A Villapizzone come si esce dalla stazione sulle scale mobili, con accesso al parco, te le ritrovi davanti al naso, e in un angolo, a pochi metri dall'uscita, una grossa poltiglia di vestiti e coperte. È difficile capire se quella roba appartenga a qualche senza tetto. Bottiglie, oltre a cocci di ceramica, plastica ed escrementi anche fuori dalla stazione di Porta Vittoria, dove ogni sera il sistema di annaffiamento automatico dell'erba allaga il controviale di viale Molise e soprattutto l'incrocio con via Monte Ortigara, un pericolo soprattutto per chi viaggia in motorino. Vien da chiedersi se in zona ci sia stata o meno una bomba d'acqua fulminante, tanto grande è l'allagamento che si è venuto a creare. In mezzo alla strada c'è ancora qualcuno che aspetta i mezzi, ma ad attirare l'attenzione, anzi a preoccupare chi cammina sul marciapiede è la desolazione dell'area adiacente alle nuove costruzioni sotto sequestro da anni, progettati come condomini di lusso e hotel di affari ma il cui futuro, ormai appare evidente, è quello di diventare giganteschi ecomostri. Dovevano sorgere la Biblioteca Europea e un grande parco. Non c'è che sterpaglia. Rifiuti. Cancelli sfondati.

Si torna a bordo. Sono le undici di sera. La stazione di Dateo è totalmente deserta ma una volta raggiunti i binari, qualcuno che aspetta il treno c'è. Tra gli altri un nordafricano seduto, accanto a lui la sua bicicletta e lo zaino di una delle compagnie di consegna a domicilio. Già, perché il passante ha spazi che permettono il trasporto comodo anche dei mezzi a due ruote. Più che altro perché in metropolitana viaggiano molti più passeggeri - la media sul passante, alle sette e mezza di sera nel tratto centrale tra Garibaldi e Porta Vittoria, è di appena dieci viaggiatori per vagone -. E così le biciclette vengono spesso sistemate accanto ai seggiolini vuoti perché tanto non servono a nessuno. A bordo un ragazzo pieno di piercing, molto magro, chiede l'elemosina: «Mi serve della moneta, ce l'hai?».

Dopo due fermate eccone un altro. Lui è robusto di costituzione, berretto in testa e giacca nonostante il caldo e l'umidità. «Non è che potresti darci una mano, siamo io e la mia ragazza». In realtà della giovane non c'è traccia. C'è solo lui. Che insiste, classica situazione in cui un «no mi dispiace» non basta, né tantomeno la scritta: «Area videosorvegliata» in ogni vagone. Tre passeggeri su cinque sono stranieri. Africani e cinesi soprattutto. Il treno si ferma, il ragazzo si guarda attorno, si gira di scatto e scappa fuori. Forse non aveva il biglietto e ha temuto l'arrivo del controllore. Forse doveva scendere e non si era reso conto di essere arrivato. Perché nel vagone le scritte elettroniche sono errate. Il treno è fermo a Repubblica. La voce registrata dice: «Fermata Rho Pero». La prossima è Porta Venezia.

Finalmente a casa.

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