Cronaca locale

Petros Markaris: "Ue ipocrita sui migranti Italia e Grecia usate come grandi cisterne"

Lo scrittore greco coscienza critica d'Europa «I poveri pagano per una messa in scena»

Petros Markaris: "Ue ipocrita sui migranti Italia e Grecia usate come grandi cisterne"

L'Europa non decide, l'Europa non ha un'anima, l'Europa parla solo di numeri e non parla di civiltà. È uno sguardo severo quello di Petros Markaris, il grande scrittore greco che ieri sera ha chiuso a Milano una serie di appuntamenti che lo hanno portato in pochi giorni anche a Cremona, Como e Pavia.

Uno sguardo severo ma non ostile. Paterno come può essere quello di un intellettuale ellenico e mediterraneo, convinto che la democrazia sia ancora il migliore dei sistemi eppure deluso dal suo smarrirsi dietro la burocrazia, le miserie e l'ipocrisia. Proprio «Il tempo dell'ipocrisia» è il titolo dell'ultimo romanzo di Markaris, una nuova storia che ha per protagonista Kostas Charitos, il commissario di polizia che in questi anni ha riscosso un grande successo di lettori in Italia, tanto da essere conosciuto come «il fratello greco di Maigret» o «il Montalbano di Atene», viste le affinità fra i due personaggi, mentre è valso l'appellativo di «Camilleri greco» a Markaris, che dello scrittore siciliano era anche amico.

«Il tempo dell'ipocrisia» già si annuncia come uno dei più riusciti romanzi di questo autore, che negli eventi lombardi di questi giorni non ha disdegnato l'attualità, presentando e discutendo anche due saggi narrativi appena usciti per una nuova collana diretta da Andrea De Gregorio ed edita da «New Press Edizioni». Entrambi i saggi contengono il tema della migrazione, con sfumature diverse e con una prospettiva che è inconfondibile, quella di uno scrittore greco della diaspora, che ha vissuto a lungo ad Atene, ha studiato a Vienna e Stoccarda, è nato a Istanbul, quella che i suoi abitanti chiamavano semplicemente «La Città», con ciò risolvendo alla radice le dispute mai sopite sul nome. Ed era una città, Costantinopoli-Istanbul, allora depositaria di un «pluralismo orientale» che pareva il contrario della odierna «integrazione», fondato com'era - semmai - sulla multi-comunità, equilibrio di convivenze in cui la separazione era strumento per «mantenere le identità». Allora i greci erano 50mila, oggi un decimo. «Non esiste più questo pluralismo» dice oggi Markaris pensando alla città, ma questo mutamento non lo addebita solo all'attuale governo.

Nato Markarian da padre armeno e madre greca, padrone di tre lingue, traduttore dal tedesco, Markaris non propende mai per lo schieramento fazioso. Non c'è ostilità nel suo punto di vista, che quasi per definizione assume o valuta il punto di vista altrui. Vale anche nel rapporto fra Grecia ed Europa. Nella presentazione organizzata a Pavia dall'Associazione «Amici della cultura ellenica Il Partenone», Markaris ha ricordato il suo incontro con una funzionaria europea incaricata di curare «l'eredità» della civiltà europea, e ha confessato divertito di averla fatta amabilmente arrabbiare facendole notare che «un'eredità presuppone un morto che abbia fatto testamento». «Lei crede quindi che la civiltà europea sia morta?». Non per questo fa sconti a «noi mediterranei» che «diamo sempre la colpa a qualcun altro». Eppure l'Europa - ha notato - «è incapace di prendere posizioni e decisioni politiche», «parla solo di economia e non parla di civiltà». E all'Europa è appunto l'ipocrisia e l'inadeguatezza che lui rimprovera. Anche sui migranti: «Ha costruito - ha detto - due enormi cisterne, l'Italia e la Grecia. Ma sono ipocriti, non lo dicono. E la cosa che completa la messa in scena è che ogni tanto promettono: vi daremo dei soldi. E fanno credere che sia tutta Europa che sta risolvendo il problema». La metafora si fa folgorante sulle attuali difficoltà europee e rimanda a un classico del teatro. «Le commedie in cui c'è una famiglia ricca con un parente povero - ha avvertito all'università di Pavia - finiscono in tragedia». E i poveri - ha aggiunto - «pagano un biglietto che consiste nella diminuzione dei loro stipendi, per assistere a uno spettacolo che sostiene che l'economia va meglio e che loro stessi stanno sempre meglio.

Pagano per vedere questo spettacolo».

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