Cronaca locale

Piastra, l'inchiesta accelera Perquisita la sede di Expo

Entra nel vivo l'indagine «bis» sull'appalto al ribasso La Guardia di finanza sequestra nuovi documenti

Cristina Bassi

Entra nella fase cruciale la «rediviva» inchiesta sulla Piastra Expo. Ieri il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza ha perquisito la sede di Expo in via Meravigli per acquisire documenti utili alle indagini. L'attività è stata disposta dal sostituto procuratore generale Felice Isnardi. Nelle scorse settimane la Procura generale aveva avocato il fascicolo togliendolo alla Procura. L'appalto da 149 milioni di euro della Piastra (su una base di 272 milioni), il più importante di tutti i lavori per l'esposizione universale, era stato vinto dalla Mantovani grazie a un ribasso del 42 per cento definito «elevatissimo» dagli inquirenti. Ancora prima dell'avocazione il gip Andrea Ghinetti aveva respinto la richiesta di archiviazione dell'indagine avanzata dai pm titolari, Roberto Pellicano, Paolo Filippini e Giovanni Polizzi. Gli indagati, che rispondono a vario titolo di turbativa d'asta e corruzione, sono gli ex manager Antonio Acerbo e Angelo Paris, l'ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita e gli imprenditori Ottaviano ed Erasmo Cinque.

L'inchiesta «bis» sarebbe destinata a durare oltre i canonici trenta giorni previsti per legge in caso di avocazione (che scadrebbero l'11 dicembre). Il pg Isnardi infatti, a quanto si apprende, avrebbe intenzione di chiedere altri sei mesi per approfondire gli aspetti chiave della vicenda. In questo lasso di tempo potrà, oltre che acquisire documenti ed esaminare quelli già agli atti, disporre accertamenti supplementari, ascoltare vecchi e nuovi testimoni e iscrivere nuovi indagati. E alla fine dei sei mesi dovrà decidere se chiudere l'inchiesta e chiedere il rinvio a giudizio oppure rinnovare l'istanza di archiviazione. Non poche le questioni (ri) aperte sul tavolo di Isnardi. Il percorso è segnato proprio dal documento scritto da Pellicano-Filippini-Polizzi al termine dell'indagine partita nel 2012. I pm, pur ammettendo che non erano emersi elementi sufficienti a sostenere le accuse, avevano rilevato diverse anomalie. Mettendo nero su bianco un clima di «deregulation dettata dall'emergenza», «un contesto di evidente illegalità» e a verbale - qui è Baita a parlare - «un sistema spartitorio degli appalti».

La necessità di fare in fretta e chiudere i lavori entro il primo maggio 2015 avrebbe portato i manager di Expo a bypassare le «verifiche di congruità» nei riguardi di Mantovani spa. «Ottenuto l'appalto ed evitata la verifica di congruità dell'offerta per ragioni di urgenza - si legge nel documento - l'unico interesse dei manager di Expo» è «concludere i lavori» in tempo. Ancora: «Dichiarato tale obbiettivo, si è arretrata la soglia della legittimità dell'agire amministrativo». Poi è stato consentito «all'appaltatore di entrare in un'anomala trattativa al rialzo con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori (...), la cancellazione dell'evento e la credibilità del Paese».

Secondo alcuni testimoni, come l'ex dg di Ilspa Antonio Rognoni (finito a processo per altre vicende), lo stesso Giuseppe Sala avrebbe avallato e condiviso la «deregulation».

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