Cronaca locale

Pisapia e la scelta fuori tempo Ha pensato a sé, non a Milano

Il sindaco ha voluto lasciare il cerino in mano a Renzi Ma defilandosi alla vigilia di Expo indebolisce la città

Pisapia e la scelta fuori tempo Ha pensato a sé, non a Milano

di Carlo Maria Lomartire

È cominciata la più lunga campagna elettorale della storia di Milano. Col colpo di scena di due giorni fa – una conferenza stampa convocata in due ore, di domenica pomeriggio – Pisapia, annunciando di non volersi ricandidare a sindaco, ha condannato la città a 14 mesi di toto-candidature, primarie sì-primarie no, alleanze di chi con chi, retroscena, indiscrezioni, anticipazioni e smentite fino alla campagna elettorale vera e propria della primavera 2016, come previsto. Con l'aggravante non trascurabile che di questi 14 mesi, 6 saranno dedicati dell'Expo, di cui comunque Pisapia dovrebbe occuparsi, sebbene da sindaco in scadenza e non rinnovabile.

I Capi di Stato e di governo, i sindaci delle grandi città del mondo e tutte le personalità politiche che passeranno da Milano per l'occasione, stringeranno la mano a Pisapia sapendo che non è con lui che potranno parlare del futuro della città.

Con questa mossa, dunque, solo apparentemente precipitosa, il sindaco indebolisce l'immagine istituzionale di Milano, in particolare con riferimento all'Esposizione universale. D'altra parte non è un mistero che Pisapia non abbia mai amato l'Expo e che abbia subito a lungo le pressioni della componente verde e arancione della sua maggioranza perché rinunciasse all'odiato evento. Ha resistito controvoglia. Già, ma perché ha annunciato in modo così informale (anche nell'abbigliamento: golfino e polo, per dare l'impressione di una decisione improvvisa) e con tanto anticipo l'intenzione di non ricandidarsi per Palazzo Marino? Perché lo ha fatto? Ha parlato di «coerenza», ha spiegato che «la politica è servizio e non una professione» e, insomma, ha fatto ricorso a tutto quell'armamentario retorico che torna sempre comodo quando si vuol parlare d'altro, evitando le vere motivazioni e gli argomenti concreti.

Il fatto è che Pisapia ha voluto bruciare sul tempo e con molto anticipo il non amato Pd renziano che non ha mai fatto mistero di voler portare uno dei suoi anche a Palazzo Marino. Con questa mossa, il sindaco evita di farsi accompagnare alla porta da Renzi, magari anche con un bel premio di consolazione, e si mette alla finestra a guardare quello che succede fra gli aspiranti sindaco dem, renziani da una parte e minoranza di sinistra dall'altra, senza contare gli immancabili pescati dalla mitica «società civile»: una lunghissima corsa a ostacoli con almeno una dozzina di concorrenti. E così non è affatto scontato che prevalga quello prescelto da Renzi. Un interminabile bailamme che, anzi, potrebbe mettere a dura prova il Pd milanese e alla fine del quale Pisapia, - che fino ad allora è stato a guardare certamente divertendosi - non esclude di far prevalere la sua scelta, in modo da lasciare Milano ancora in mani arancione.

Un alibi, dunque, la «coerenza», la «politica come servizio» e la finta ingenuità: la mossa di Pisapia è furba, da politico di mestiere ed è ispirata a (legittimi) interessi di parte e personali.

Il guaio è che mette Milano in una situazione anomala e imbarazzante in occasione dell'evento internazionale più importante della sua storia recente.

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