Cronaca locale

«Porto poesie e musica nel laghetto magico tanto amato dal Vate»

Il presidente Giordano Bruno Guerri ospita il premio per interpreti delle liriche del '900

«Porto poesie e musica nel laghetto magico tanto amato dal Vate»

«A parte D'Annunzio, di cui ho letto tutto, poesie, romanzi, lettere, articoli, i poeti che amo di più sono Whitman e Ungaretti». Parlare di poesia con Giordano Bruno Guerri vuol dire sfondare una porta aperta. Il presidente del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera - meraviglia tra castello e mausoleo, allo stesso tempo cupa e serena, fatta di marmi e pietre, di velluti e carta, di cimeli guerreschi, di legni e ferri bruniti -, mondo dove visse e morì il Vate, stasera ospiterà versi, poeti e attori sul Laghetto delle Danze, per il premio Più Luce, quest'anno dedicato a poesie del Novecento legate dal filo della nostalgia. «Il laghetto è esso stesso poesia», dice Guerri. «Formato dall'abbraccio di due rivi, dell'Acqua Pazza e dell'Acqua Savia, ha forma di violino, lo strumento inventato proprio qui, sul Garda, da Gasparo da Salò. Il Laghetto c'era già al tempo di D'Annunzio, poi, negli ultimi periodi, si insabbiò e venne abbandonato. Si riempì d'erbe, rovi, animali. Mi immaginavo lo abitassero cinghiali e lupi, persino sconosciute tribù di umani inselvatichiti. Con le nostre cure da qualche anno è tornato bello, fresco, carezzevole. Un giardino incantato: stasera, con accompagnamento musicale, dieci attori recitano poesie sulle sue acque, da una sporgenza che rappresenta, mi si passi il termine, il culo di un violino. Recitare poesie, come faranno i professionisti selezionati, alle prese con una rosa di classici scelti da Paola Veneto e con una lirica da essi portata, è un'arte in decadenza. Eppure, abbiamo avuto nomi altissimi come Carmelo Bene, è davvero un peccato».

Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale sotto amministrazioni di diverso colore politico (la nomina dipende dal ministero della Cultura), sta lavorando bene. «I visitatori sono raddoppiati, siamo intorno ai 300 mila all'anno. E c'è sempre da scoprire. Ultimamente abbiamo acquisito nuovi lotti di documenti. Gabriele D'Annunzio era un grafomane, scriveva tutto a mano, instancabile, senza ricorrere alla macchina per scrivere. Oggi manderebbe mail di continuo, ma non so se supererebbe il fastidio per le tecnologie. Non usava neppure il telefono, che aveva un numero molto semplice: 114. Sa qual è il mio sogno? Mettere le mani su una valigia sparita, piena di lettere di D'Annunzio, molte scambiate con Mussolini. Dalle quali si scoprirebbe il tradimento del Duce verso gli ideali del poeta, espressi durante l'impresa di Fiume, cent'anni fa. Le portò via il 1º marzo 1938, la notte della morte del Vate, un fascistissimo vice cancelliere dell'Accademia d'Italia, valente archivista che curava le carte di D'Annunzio. Quelle lettere non sono più state ritrovate, come l'oro di Dongo di un'altra misteriosa valigia». A Trieste ci sono proteste incandescenti per la prevista statua del Vate: dicono che onorare il poeta, fascista, sarebbe un'offesa per la città. «Proteste incomprensibili, dettate dall'ignoranza. Chi unisce il fascismo all'impresa di Fiume del 1919, che diede origine alla Reggenza Italiana del Carnaro, non sa di che parla. Fu il fascismo, all'epoca non ancora nato, a ispirarsi a D'Annunzio, comandante dell'impresa. Il Duce e i gerarchi rubarono motti, simboli, riti, parole d'ordine. Ma la Reggenza di Fiume, che venne riconosciuta dalla Russia dei Soviet, e finì con il Natale di sangue del 1920, soffocata dal Regio Esercito dei Savoia, aveva elementi modernissimi. In certi casi addirittura anarchici, di avanguardia. Esisteva il divorzio, le donne potevano votare, c'era libertà di costumi. In Italia cose simili sarebbero arrivate solo negli anni 70. E Trieste, città dell'irredentismo, è una patria di D'Annunzio. Da luglio a novembre, con il Vittoriale, portiamo una mostra nel capoluogo giuliano, al Palazzo degli Incanti. Dedicata al poeta soldato, per il centenario dall'Impresa, con foto e documenti inediti. Bisognerebbe saperne un po' più, di storia, per protestare con qualche ragione. Non crede?».

Qual è, secondo il dannunziano Guerri, intellettuale e scrittore che conosce così in profondità il Vate da sembrarne la reincarnazione, il problema principale della cultura oggi in Italia? «La scuola. I professori sono pagati poco, non esiste motivazione, non c'è attenzione per la trasmissione del sapere. Una svalutazione di cui stiamo pagando, con gli interessi, un alto costo». Guerri, in giuria con il poeta Maurizio Cucchi, il drammaturgo Bruno Fornasari e la vincitrice della passata edizione, Francesca Garioni, si prepara alle premiazioni di stasera (cerimonia dalle 21.30) sulle acque del «delirio di bellezza» voluto da D'Annunzio mandando a memoria alcune poesie di Borges, Neruda e dello stesso Cucchi.

«Perché - dice - di poesia abbiamo sempre bisogno».

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