Cronaca locale

"Quel presagio non salvò Loris da Giardiello"

Spari al tribunale di Milano, il ricordo della madre dell'avvocato come Lorenzo Claris Appiani

"Quel presagio non salvò Loris da Giardiello"

Presagi di morte. Il sesto senso di una madre. La percezione di un pericolo incombente. E allora la mamma prova a fermare il figlio: «Per favore, non andare in tribunale a testimoniare. Lui potrebbe farti del male». Lui è Claudio Giardiello, l'assassino spietato che la mattina del 9 aprile 2015 portò la morte dentro il Palazzo di giustizia. Qualche giorno prima, Alberta Brambilla Pisoni, avvocato come Lorenzo Claris Appiani, aveva captato qualcosa di anomalo nella convocazione come teste della difesa in un processo intentato proprio da Giardiello. E aveva cercato di bloccare il figlio Lorenzo. Purtroppo il giovane antepose il proprio dovere alle premonizioni materne e andò incontro al proprio destino.

La rivelazione arriva nel corso di un convegno in ricordo delle tre vittime della strage. Si sapeva che Appiani aveva avuto un rapporto difficilissimo con l'ex cliente. Era noto che Giardiello un giorno l'aveva preso letteralmente per il bavero del cappotto e l'aveva sollevato di peso, minacciandolo e urlandogli in faccia. Era agli atti anche che Appiani, esasperato, aveva revocato il mandato, non volendo più avere a che fare con un personaggio cosi violento e arrogante, immerso in mille procedimenti e sempre alla ricerca di soldi. Ma non si conosceva ancora quanto la signora Alberta si fosse esposta per evitare quell'ultimo appuntamento che prefigurava una trappola.

Cosi, nel corso di una cerimonia suggestiva che si è tenuta lunedì al Pirellone, ecco la «confessione». Prima, sul palco, si susseguono i diversi momenti del meeting. Parole. Immagini. Dibattito. Il presidente della regione Attilio Fontana e il neoassessore Riccardo De Corato, che aveva incontrato Appiani ai comizi di Forza Italia, portano la vicinanza della giunta alla famiglia di Lorenzo. La Regione è l'unica istituzione presente, perchè gli altri, a cominciare dal Comune, si sono defilati. Ma non è giornata di polemiche, semmai di emozioni e ricordi. Carolina Pellegrini, che da sempre si batte per le pari opportunità, allarga il tema della serata al dramma infinito del femminicidio: le troppe donne uccise nella progredita Lombardia. E oltre ancora: in sala si intravedono altri spettri. Gli immigrati clandestini fuori controllo. L'incertezza della pena che infragilisce il sistema giudiziario. Stefania Monaco, giovane attrice emergente, legge i profili di Lorenzo, del giudice Fernando Ciampi, di Giorgio Erba. Le tre vittime. Aldo Appiani, il papà di Lorenzo, commenta un video che dura due minuti e 46 secondi, esattamente il tempo della mattanza. Poi Ilaria Amè, amica di Lorenzo sin dai tempi in cui era assessore al Comune di San Donato Milanese e regista della manifestazione, dà la parola alla signora Brambilla Pisoni. E lei afferra quel lembo sanguinante del passato: «Avevo come un presentimento. E l' ho sussurrato a Lorenzo: Non andare. Potrebbe succederti qualcosa. Potrebbe farti del male. Certo, non immaginavo che gli avrebbe sparato, ma comunque non ero tranquilla, sentivo qualcosa di strano. Lui mi ha risposto: Mamma, siamo in tribunale, cosa vuoi che mi succeda?».

Certo, non andava a Palazzo come fosse una passeggiata. «E cosi - conclude Alberta - Lorenzo ha aggiunto: In certi momenti ci vuole coraggio. Un coraggio pagato a caro prezzo».

La sala è scossa, fra applausi e qualche lacrima asciutta. Comprese quelle di Vinicio Nardo, uno dei più famosi penalisti milanesi. Per Lorenzo era un fratello maggiore.

Ora i genitori chiedono giustizia a voce alta: gli apparati di sicurezza erano vulnerabili, anzi impreparati a fronteggiare l' attacco non di un commando terroristico ma di un semplice delinquente. Fra sciatteria e approssimazione. Si aspetta un sussulto di dignità dello Stato.

E si guarda all'indagine bis di Brescia, rivelata proprio dal Giornale: qualche sorpresa potrebbe arrivare proprio da quell'inchiesta che cerca le responsabilità di quel colabrodo ai piani alti della magistratura ambrosiana e di Palazzo Marino.

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