Cronaca locale

Ma quale Gauguin, la star è Barbie

Riflettori accesi sulla bambola made in Usa. E la mostra sul genio francese passa in secondo piano

Neanche un pezzo da novanta dell'arte come Paul Gauguin è riuscito a spodestarla dal suo trono rosa shocking o a strapparle, almeno per un giorno, lo scettro di swarovski a forma di stella che lei, plasticosa biondina senza data di scadenza ed eterna signorina «sofartutto» (scia, nuota, balla, recita, scala, cucina, partorisce, fa partorire...) detiene da ben 56 anni. Ha un bel da parlare di «città mondo» e «polo multidisciplinare» l'assessore alla Cultura di Palazzo Marino Filippo Del Corno descrivendo il Mudec, il Museo delle Culture inaugurato ieri mattina in via Tortona 56, una meraviglia di 17mila metri quadrati coperta da uno spazio aereo in cristallo illuminato anche di notte, ridisegnato dall'area ex Ansaldo da David Chipperfield e che lancia, proprio alla scadenza di Expo, Milano verso la tanto ambita (e ambiziosa) internazionalità. In barba alla supercultura e a chi riesce a credere ancora che l'arte sia qualcosa di oggettivo, Barbie, the icon - questo il titolo di una delle due mostre che fanno da traino all'apertura ufficiale del mega spazio multiforme che ha calamitato l'attenzione dei visitatori-fan della bambola americana. Un pubblico sostenuto che almeno secondo quanto affermato da Flemming Fribor g - uno dei due curatori di quella che, in teoria, doveva essere l'esposizione più gettonata, Gauguin, racconti dal paradiso - non poteva perdersi 70 opere (tra cui la mitica «Volpini suite» 10 zincografie visitabili solo su appuntamento allo Statens Museum fur Kunst di Copenhagen) che «costituiscono il meglio di quanto c'è in giro per il mondo» realizzato dal maestro impressionista. Senza contare la collezione permanente, un allestimento di 200 pezzi restaurati e rinnovati sugli 8mila del patrimonio etnografico comunale e destinato a rinnovarsi a rotazione in un incontro-scontro tra la nostra cultura e quella del resto del mondo. Un percorso che sfocia, concludendosi, nella rassegna A beautiful confluence omaggio a gli artisti della Bauhaus appassionati di arte precolombiana, Anni e Josef Albers.

Niente da fare. Le persone hanno invece preferito, almeno ieri, aggirarsi incuriosite e ammirate, tra i pezzi iconici di Barbie suddivisi per decadi - la moda, la famiglia, la carriera e la diva - ricordando come Ken sembrasse un fidanzato un po' legnoso e i cui centimetri d'altezza e lo sguardo a metà tra lo studente di college-pesce lesso e il giocatore di golf passatello, non giocarono certamente a suo favore nel confronto con l'altro arcinoto toy della Mattel, ovvero il basso ma macho Big Jim . La mostra, curata da Massimiliano Capella, prodotta da 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore e promossa dal Comune con Mattel - racconta come Barbie si sia fatta interprete delle trasformazioni estetiche e culturali della società lungo oltre mezzo secolo di storia, resistendo allo scorrere degli anni e attraversando epoche e terre lontane, rappresentando ben 50 diverse nazionalità, e rafforzando così la sua identità di specchio dell'immaginario globale. Sì, la bambola che tutte abbiamo vestito, pettinato, spogliato e acconciato nei modi più impensabili sperando che - con i suoi capelli alla Farrah Fawcett, il fisico statuario e gli occhi che più blu non si può, ma soprattutto attraverso le sue trasformazioni, che la facevano essere tutto quello che era possibile e impossibile diventare - ci vendicasse da un anonimo destino senza però inquadrarci in pupe alla Bond girl.

Paradossalmente è la commercialissima Barbie a realizzare quindi al Mudec il concetto libertario, soggettivo ma soprattutto universale, dell'arte. Che è anche il sogno del primo e più carismatico componente del comitato scientifico del museo, l'antropologo e musicista Marco Antonio Ribeiro, l'uomo che più di tutti ha voluto dedicare a Khaled Asaad - archeologo martire dei tagliagole dell'Isis a Palmira - lo Spazio delle Culture affinché diventi simbolo dell'assoluta necessità di dialogo fra i popoli. «Qui vogliamo realizzare tutto in ritmo e armonia: uno straniero non dovrà mai sentirsi dire che deve spostarsi da un posto riservato» ha detto ieri Ribeiro. Ecco: Barbie è stata anche argentina, hawaiana, indiana e africana, ha vissuto la Guerra Fredda, la caduta del muro di Berlino. Sedendosi dove voleva.

Meglio però se sulle ginocchia di Ken.

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