Cronaca locale

Quando la Grande guerra era solo una caricatura

Dalle Civiche Raccolte i disegni e gli schizzi pubblicati sulle riviste di satira italiane

Quando la Grande guerra era solo una caricatura

Re Vittorio Emanuele III si mette in posa con visierone d'ordinanza, binocolo, macchina fotografica e scarponcini chiodati. Il Vate Gabriele D'Annunzio, stivali a speroni e corona d'alloro, si atteggia pensoso guardando al futuro. Fra ufficiali in bicicletta, plutocrati in sigaro e bombetta che si pappano lo Stivale, continenti in fiamme e cannoni che vomitano monete d'oro, a Palazzo Moriggia la Grande Guerra si fa... a colpi di matita, lapis, umorismo e caricature. Dal 16 febbraio al 14 maggio, nell'ambito delle celebrazioni promosse dallo Stato Maggiore dell'Esercito per il centenario del primo conflitto mondiale, è di scena al Museo del Risorgimento la mostra «A colpi di matita. La Grande Guerra nella caricatura», a cura di Danilo Curti-Feininger e Rodolfo Taiani, promossa da Comune di Milano-Cultura, Direzione Musei Storici, con il supporto di Esercito Italiano e Fondazione Museo Storico del Trentino. Un percorso fra centinaia di immagini selezionate, materiali, schizzi, riproduzioni e approfondimenti di una settantina di diversi artisti che lavoravano per 15 testate di satira italiane ed europee. Firme prestigiose come Golia (Eugenio Colmo), Ratalanga (Gabriele Galantara), Nasica (Augusto Majani), Bruno Paul, Hermann-Paul, George Grosz, Paul Iribe, Lyonel Feininger, T. Theodor Heine, accanto a illustratori meno conosciuti o semplici nomi (o pseudonimi) che mettevano la propria vena creativa al servizio delle principali riviste periodiche in circolazione tra la fine dell'Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale: in Italia «L'Asino», «Numero», «Il mulo»; in Germania «Kladderadatsch», «Wieland», «Die Muskete»; in Francia «Le mot», «L'assiette au beurre», «Le rire rouge», tanto per ricordarne alcune. Diversi tratti, sensibilità artistiche differenti, ma la stessa verve sarcastica, dissacrante e a volte tragicamente profetica, ben prima della nascita di Charlie Hebdo e degli altri «Vernacolieri» di questi giorni. Alcuni fogli arrivavano fino al fronte e allietavano, per quanto possibile, il morale delle truppe. Tutti, per creare e rafforzare un'identità collettiva, facevano leva sull'immagine. Uno straordinario ed efficace strumento di comunicazione che già da fine Ottocento, con il rinnovamento delle tecniche grafiche, era possibile produrre «in serie» per l'editoria e il mercato pubblicitario. Fu soprattutto negli anni della guerra che divenne massiccio l'utilizzo di strumenti comunicativi ad ampia diffusione: lo dimostrano la stampa periodica di allora, zeppa di vignette, piccole pubblicità e tavolette illustrate, oltre ai libri, i volantini, i manifesti, le cartoline, le riviste per grandi e piccini.

Tutta inedita la sezione «Un'armata dipinta a lapis», con una selezione di disegni originali di «Mausanzetta», versatile artista dall'identità ancora ignota: oltre 100 fogli conservati negli archivi delle Civiche Raccolte e studiati da Anna Maria Marconi, Andrea Bianchi e Mauro Caimi.

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