Cronaca locale

Ratzinger e Bergoglio nell'omelia di Scola: «Accogliamo gli ultimi»

Ratzinger e Bergoglio nell'omelia di Scola: «Accogliamo gli ultimi»

La pace è il giardino di Cristo, il sentimento piantato da Gesù sulla terra, il ramo d'ulivo che s'innalza nel tripudio della domenica delle Palme, ramifica in silenzio ai piedi della croce mettendo radici, fiorisce nel sangue della passione nella settimana Santa, trionfa nella Resurrezione: pianta di pace. Come si fa la pace? Attraverso un'opera che infonde armonia tra «gioia e dolore intrecciati in modo indisgiungibile» ha detto ieri in Duomo il cardinale Angelo Scola in un'omelia che è stata una preghiera alla forza di trasformare la rabbia, l'odio, le divisioni che minano il cuore dell'umanità, i vertici degli Stati, la terra intera, in una croce da cui donne e uomini possano risorgere, perché il Figlio dell'Uomo stesso ne è stato capace, e solo per questo il divino creato è potuto finalmente divenire storia incamminata verso il regno della pace.
«Gesù ci ha pacificato con il suo sangue. Abbiamo il coraggio di prendere sul serio questa affermazione, prendendo fisicamente in mano il crocefisso, perché la croce è un passaggio obbligato non verso il nulla ma verso la resurrezione». Non l'odio sgorga dalla linfa della croce, ma la forza di superare le contrapposizioni tra bene e male che dividono gli uomini per riunirli in una rinascita di serenità che non distrugge ma edifica, sempre.
«Il Messia è capace di farci riconciliare perché è la misericordia personificata». Non condanna mai: chi è senza peccato scagli la prima pietra, questa la sua parola davanti alla persona che sbaglia, agli uomini che presuppongono d'avere in mano la verità, a coloro che credono che il senso della legge possa essere sconfitto con un'altra legge. Ricordando le parole di Papa Francesco, Scola ha sottolineato come in questa misericordia Dio attenda la creatura senza mai stancarsi, senza distinzioni di ceto o di razze; l'arcivecsovo ha ringraziato per la loro presenza la comunità dei filippini molto numerosi in Duomo. «Noi spesso ci stanchiamo di chiedere perdono. Allora accostiamoci con un atto di semplice libertà al sacramento della riconciliazione per toccare con mano la Pasqua di Gesù, speranza nostra». Si è riferito anche al papa emerito il cardinale, tornando ad una frase lasciata da Benedetto XVI nella sua ultima visita milanese: «La Lombardia è chiamata ad essere il cuore credente dell'Europa». Più volte Scola è tornato all'inno che precede la lettera ai Colossesi di San Paolo, il canto che sancisce «il primato di Cristo su tutte le cose e la conferma di questo è stata la sua resurrezione dai morti».
L'assoluto spirito della vita ha sconfitto l'eventualità di una fine, per questo il destino di ognuno è accompagnato da una parola: speranza. Una speranza che ogni volta si rinnova con la partecipazione alla bellezza della liturgia, baciata dal profumo dell'incenso che rigenera, una liturgia «che ci rende attuali e presenti i fatti eterni della salvezza». Una liturgia in cui possiamo diventare ogni volta «operatori di pace, identificandoci con Lui» per portare a termine l'unica opera a cui siamo stati chiamati: la salvezza dell'umanità, soprattutto quella più colpita dalla miseria, dalla malattia, dalla guerra, dall'odio dei forti sui deboli. «Voglio partecipare al dolore dei cristiani martirizzati mentre partecipavano alla Santa Messa.

Quale sfida alla nostra presenza spesso abitudinaria!» ha sottolineato Angelo Scola.

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