Cronaca locale

Dal rock alla tela: l'altro Bob Dylan sogna New Orleans

«Ci sono un sacco di posti che amo, ma nessuno come New Orleans». Lo ha scritto nero su bianco, Bob Dylan, e poi lo ha messo su tela l'amore questa città «che sembra un lungo poema»¸ la città «in cui nulla sembra inappropriato», piena di angoli, di peonie rosse e di bounganville e poi di locali, di gente che beve per strada, di musiche che si rincorrono. «Everything in New Orleans is a good a idea», ogni idea è buona a New Orleans, ha scritto Dylan, il menestrello del rock, il celebre cantautore di «Blowin' in the wind» che da lunedì Milano imparerà a conoscere nell'insolita veste di pittore.
Una ventina le tele esposte a Palazzo Reale in quella che è la prima mostra pittorica di Bob Dylan in Italia (e non molte altre sono state fatte in Europa). «The New Orleans Series» è infatti il titolo della personale, curata dal critico Francesco Bonami, che presenta al pubblico milanese ventidue dipinti recenti, tutti dedicati a New Orleans (dal 5 febbraio al 10 marzo, organizzata dal comune di Milano). Ci troviamo davanti a quadri con personaggi diversi, uomini e donne ripresi in atmosfere che ricordano i film d'epoca oppure a piccole istantanee della città della Lousiana: non è la New Orleans di oggi, quella che Dylan ha ritratto, e nemmeno quella devastata ormai otto anni fa dalla violenza dell'uragano Katrina.
Il suo lavoro, liberamente ispirato da una serie di fotografie e cartoline d'epoca, mette su tela la città degli anni Quaranta e Cinquanta. C'è un'eleganza decadente nei dipinti di Dylan che non sarebbe possibile trovare nella New Orleans di oggi, così divisa tra la voglia di rivalsa e la corsa alla ricostruzione. La serie di dipinti, realizzati a campiture piatte e tendenti a colori piuttosto cupi, ci racconta di un tempo che non c'è più, di personaggi che sembrano rubati al mondo della celluloide o usciti da romanzi noir. È una New Orleans dal tempo sospeso, quella che ci viene presentata nelle sale di Palazzo Reale: in scena, amore, violenza, la vita quotidiana, lo splendore un po' polveroso di una città unica che per la formazione artistica dello stesso Dylan, figlio del freddo Minnesota, fu fondamentale.
Non sappiamo se Dylan si sia lasciato ispirare anche dalla musica dell'epoca e dal jazz che nei locali di New Orleans ha trovato la sua dimora ideale. Di certo la città che Bob Dylan incontrò negli anni Sessanta era molto diversa da quella che oggi ha deciso di ritratte, non senza nostalgia. Difficile giudicare questa sua prova pittorica: perché se è vero che Dylan, in cinquant'anni di carriera si è cimentato con successo anche con la poesia, la narrazione, la recitazione (continuando a esibirsi, a settantuno anni di età…), la pittura è una cosa diversa.
Forse, dal cantautore simbolo degli anni Sessanta, dall'eroe dalla canzone impegnata, dalle liriche di protesta, dall'uomo che seppe traghettare il folk nel rock-pop, ci si sarebbe aspettati, anche sulla tela, qualcosa di rivoluzionario. E invece abbiamo quadri che ricordano i tardo-impressionisti per l'uso della campiture di colore e che si rifanno dichiaratamente a delle istantanee d'epoca.

Lavori suggestivi e ben fatti (anche se alcuni critici americani non hanno apprezzato affatto il Dylan-pittore), ma la forza dirompente, unica, di canzoni come «The times they are a-changin» quella proprio non c'è.

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