Cronaca locale

Sala si sfila dalle beghe Pd: "Resto a Milano fino al 2021"

Il rifiuto: "Il mio contributo? Guidare la città al meglio". Intanto nega il ruolo di pontiere e attacca ancora Renzi

Sala si sfila dalle beghe Pd: "Resto a Milano fino al 2021"

Interviene a gamba tesa Beppe Sala nelle questioni che agitano il partito democratico alla vigilia della direzione nazionale. Il sindaco a Tempo di libri, dove ieri ha presentato il suo libro Milano e il secolo delle città, si sfila ufficialmente dai giochi post-Renzi. Mettendo così a tacere le voci che, durante la campagna elettorale lo aveva visto sostenere il suo collega e candidato alle Regionali per il centrosinistra Giorgio Gori, disegnavano per lui un ruolo da pontiere tra le diverse anime della sinistra. Negli ambienti dem si guardava all'ex commissario Expo come il riferimento per l'ala non renziana del partito e gli arancioni delusi da Pisapia per riconciliare la sinistra del Pd con Leu.

E il sindaco, che non ha mai smentito, avendo intuito il disastro imminente aveva osato azzardare un «queste elezioni politiche saranno un tagliando anche per la mia giunta». I fatti gli hanno dato ragione: a Milano, almeno quella dei salotti, il centrosinistra ha incassato quasi il 40 per cento (nei collegi uninominali della Camera nel centro storico il Pd è risultato il primo partito con il 27% e al Senato con il 29% per cento). Così alle Regionali dove Giorgio Gori è risultato avanti di dieci punti rispetto al leghista Fontana.

L'indomani Sala è andato all'incasso, marcando la «chiara controtendenza» di Milano rispetto alla «dura sconfitta per la sinistra nel Paese. Qui il Pd è saldamente il primo partito, e se sommiamo le preferenze di Pd e Leu non si va tanto distanti dai voti che presi io al primo turno delle Comunali 2016».

Ma ieri il sindaco, intervistato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana alla kermesse milanese dell'editoria, ha invertito la rotta: «Il mio presente si chiama Milano e durerà fino al 2021 e poi vedremo». Il primo cittadino ha risposto facendo riferimento anche alla sua esperienza personale: «Quando passi attraverso una malattia grave non puoi che essere un uomo cambiato. Rispetto ai piccoli problemi che fanno impazzire le persone ora ho la capacità di dire andiamo avanti. Non guardo al futuro, non sono più capace di fare un progettualità» ha confessato, pensando a quale potrà essere il suo ruolo dopo quello di sindaco.

Così ieri si è sfilato anche dallo psicodramma che agita il partito: «Io dirò la mia in termini di contribuzione al dibattito, ma sono certo che il mio servizio alla sinistra sia di continuare a far funzionare al meglio la città di Milano». Buttarsi nell'arena politica nazionale non sarebbe altrettanto utile: «Se mi metto anche io sono solo uno che si aggiunge - replica riferendosi a Calenda, ma soprattutto a Nicola Zingaretti - mentre da qui posso dare un grande contributo perchè la città potrà confermare il suo ruolo» in particolare sui temi della solidarietà e dell'immigrazione.

Nessuna tessera del Pd all'orizzonte per lui, nonostante ritenga che il Partito Democratico sia «l'unico partito che ha una struttura sul territorio allargata all'associazionismo e quindi mi troverete sempre dalla parte di chi lo difende».

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