Cronaca locale

Dopo il saluto arabo all'Arena i cartelli in cinese di via Sarpi

Un'iniziativa per la cura del verde sotto i simboli di Comune e Amsa. Ma i manifesti sanciscono la separazione linguistica delle comunità

Cartello con la scritta in cinese
Cartello con la scritta in cinese

Che la zona Sarpi-Bramante sia abitata in larghissima maggioranza da cittadini di origine cinese non lo scopriamo oggi, non a caso è chiamata Chinatown. Eppure fa una certa impressione leggere 23 cartelli scritti esclusivamente in lingua cinese, e accompagnati dai simboli del Comune di Milano (stampato in virtù del patrocinio deliberato dai due Consigli di zona) e di Amsa, l'azienda municipale di servizi ambientale. Il colpo d'occhio è quello delle enclave, di una città che affastella le culture un accanto all'altra, di un bilinguismo radicato e insuperabile.
Bisogna dire che altrettanti manifesti sono in italiano. Sono 46 in tutto, tanti quanti le aiuole. Sì perché il progetto di cui parliamo è un po' il classico «adotta il verde». Anzi è senz'altro migliore, perché si rivolge anche a singoli cittadini, che saranno responsabilizzati mediante l'iscrizione, su una piccola targa, del loro nome. L'iniziativa - va detto subito - è lodevole, e punta a migliorare le condizioni estetiche e ambientali della zona. Il motore del progetto, in collaborazione con Amsa, è l'associazione culturale FuoriSarpi, che come spiega il presidente, Giulio Trevisani, si pone come obiettivo la promozione della cultura non solo come evento - mostra o concerto - ma anche come «convivenza e arricchimento reciproco». In pratica l'associazione ha preso in carico dal settore comunale competente questi 46 spazi, che sono nati come dissuasori del traffico e sono stati poi riempiti di terra e piantumati col pitosforo. Due di questi spazi sono stati direttamente curati dall'associazione, come modello, durante i «Fuorisalone» del mobile. L'esempio ha funzionato, tanto che da allora altri 26 sono stati chiesti in «adozione» - 9 dei quali da cittadini cinesi. I curatori del verde dovranno piantare altre piante, e il tutto dovrà essere approvato per evitare specie vegetali che possano provocare problemi, alla circolazione o di altro tipo. I cartelli servono ovviamente a pubblicizzare l'iniziativa, sensibilizzando al rispetto del verde e della pulizia urbana. Amsa ha collaborato con un contributo, approvando tutto: «L'obiettivo era arrivare a entrambe le comunità - fanno sapere dall'azienda - a noi interessava il messaggio. Abbiamo ritenuto che l'iniziativa che ci è stata sottoposta fosse buona e l'abbiamo approvata e sostenuta». Insomma si va al sodo per ottenere un risultato positivo.
Va bene. Eppure quei cartelli fanno pensare. Le aiuole sono grandi. La percezione di un abbinamento fra il manifesto in cinese e un altro corrispondente in italiano non è immediata. Chi ne vedesse solo uno può pensare di aver cambiato Paese. Forse un unico cartello che contenesse il messaggio in due lingue avrebbe potuto avere un senso diverso, quello di una traduzione capace di svolgere anche una funzione istruttiva, o educativa. Sarebbe stata un'inutile e ipocrita illusione? Può darsi. Eppure questo piccolo dettaglio dice tanto sulla città che si sta costruendo.
Cambiando le cose che devono essere cambiate, fa venire in mente il «sindaco d'agosto», la vendoliana Cristina Tajani, che si è presentata alla celebrazione di «Id al fitr» all'Arena e, animata sicuramente dalle migliori intenzioni, ha salutato in arabo le migliaia di persone presenti - fedeli dei centri islamici che festeggiavano la fine del Ramadan - compiendo anche una gaffe, o una piccola discriminazione, dal momento che gli arabi non esauriscono la platea dei musulmani (non a caso il sermone era tradotto anche in «bangla»). È il segno di una città che prende atto definitivamente delle sue enclavi culturali e linguistiche, rinunciando anche al potere unificante, integrante, del potere pubblico. Le sancisce come una realtà insuperabile.

E il resto del lavoro lo faranno il tempo e la scuola, forse, sulle nuove generazioni.

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