Cronaca locale

Il serraglio di Rogoredo capolinea dell'inferno tra droga e disperazione

Via Sant'Arialdo è un formicaio di miseria fra spaccio, prostituzione e ricettatori

Nino Materi

Via sant'Arialdo è una strada che parte a sinistra uscendo dalla stazione di Rogoredo e arriva al nulla. Il nulla della civiltà. In via sant'Arialdo, per fortuna, non ci sono palazzi: se ci fossero, lo spettacolo sarebbe una lunga fila di disperati che lungo questo tapis roulant d'asfalto si muovono come formiche impazzite. Una dietro l'altra.

Cercando droga, vendendo droga, nascondendo droga. È un esercito di zombie che si riversa nello scalo (quello del fatidico annuncio contro «zingari» e «malintenzionati» fatto da una capotreno e che tanto ha scandalizzato le anime belle).

Il paradosso è che in un contesto sociale tanto degradato, il «dibattito» sui media si sia incentrato sull'opportunità o meno dell'annuncio della dipendente di Trenord, ignorando il bubbone che è sotto gli occhi di tutti, ma che nessun vuol vedere.

Una suburra dove già alle 11 di mattina la sensazione di insicurezza è palpabile. Una volante della polizia fa la spola lungo le poche centinaia di metri che dividono l'inizio della via dalla sua fine. Che è anche la fine metaforica del controllo sociale da parte delle istituzioni.

I poliziotti fermano auto e pedoni, controllano documenti, perquisiscono. Ma per uno sbandato controllato, almeno dieci balordi superano lo sbarramento e s'infrattano tra sterpaglie piene di rifiuti. È lì che avviene il «commercio»: droga, ma non solo.

Nel boschetto sotto il cavalcavia c'è l'area della ricettazione (controllata dai rom), quella della prostituzione (controllata dagli africani) e quella della disperazione dove convivono clochard e punkabbestia.

Sono questi ultimi a riversarsi nella stazione dove il presidio permanente di polizia ed esercito, oltre agli uomini della security privata, non bastano a scoraggiare le «molestie» ai passeggeri lungo le banchine e sui treni. Facce poco raccomandabili che salgono sui convogli, con l'obiettivo di racimolare qualche spicciolo. Un'elemosina chiesta con modi intimidatori, a volte con violenza. E se qualcuno tenta di reagire, la situazione rischia di degenerare.

Come sanno bene i tanti ferrovieri e viaggiatori che di questo clima di prevaricazione hanno patito le conseguenze sulla propria pelle. Per i capotreno chiedere il biglietto è una «provocazione» inaccettabile: e piovono insulti, botte o colpi di machete.

Tutto questo avviene tra l'indignazione dei benpensanti (che a Rogoredo possono permettersi il lusso di non mettere piede) e il consenso dei viaggiatori (che a Rogoredo non possono permettersi il lusso di non mettere piede).

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