Cronaca locale

La sovrintendente non polemizza con il successore «Lui è bravo, però questa è una realtà diversa» Ma dietro le quinte emerge una profonda amarezza

Sandrina Bandera è una donna che sa uscire di scena con eleganza. Abituata a mediare, come ha fatto nel lungo corso alla guida di quel complesso universo che gravita attorno alla Pinacoteca di Brera.

Per questo ieri, chiamata a commentare la nomina del concorrente canadese James Bradburne che andrà a sostituirla, è stata ancora una volta diplomatica: «A Palazzo Strozzi si è dimostrato molto bravo», ha detto rispondendo da Berna, in visita alla mostra su Klee e Kandinsky.

La versione pubblica è decisamente razionale e conciliante: il prossimo 3 ottobre l'ex direttrice del polo museale lombardo compirà 65 anni, con un po' di ferie da smaltire a partire dal primo novembre sarebbe andata comunque in pensione. Al bando per quel posto però aveva partecipato: ma «sapevo in partenza che non ero destinata a essere nominata», è stato più per «sfida con me stessa», per una soddisfazione personale «che comunque c'è stata, perché mi sono posizionata bene». Toni tutt'altro che polemici, di certo diversi da quelli del collega Antonio Natali, da oggi ex direttore degli Uffizi di Firenze.

Comporre le fratture, del resto, è sempre stata la sua cifra distintiva, in questi anni in cui si è trovata a traghettare - da donna che è arrivata dopo altre donne alla direzione - il passaggio verso la Grande Brera, sogno incompiuto, con i lavori ancora in corso per inglobare Palazzo Citterio e il futuro, progressivo trasferimento - non senza accese polemiche - dell'Accademia di Belle Arti verso l'ex caserma Mascheroni. L' understatement è richiesto anche dal ruolo di funzionario ministeriale. Lo stesso tenuto quando, già tra febbraio e marzo scorsi, sono arrivati i primi segnali di un'uscita entro breve tempo: con l'unificazione delle due Soprintendenze, quella per i beni storici artistici ed etnoantropologici e quella per i beni architettonici, sotto la guida dell'architetto romano Antonella Ranaldi. E la decadenza, di fatto, dalla direzione della Pinacoteca. L'impossibilità di firmare anche solo una carta. Ruolo cui le è subentrata Emanuela Daffra, che era già nello staff.

«Mortificazione», è la parola che ripete più spesso chi frequenta gli ambienti della Pinacoteca: la sensazione di una direttrice a fine carriera messa alla porta dall'oggi al domani.

E infatti Sandrina Bandera incassa, ma i suoi però affiorano. Si leggono in filigrana, nelle dichiarazioni di ieri, quando fa notare che «Brera è una realtà diversa da palazzo Strozzi, perché non è privata». Quando sottolinea che, pur nella veste tecnica di ingranaggio del grande apparato ministeriale, «ha cercato di imprimerle dinamismo, ma non avevo autonomia economica, non avevo nemmeno un conto corrente, mentre ora sono possibili progetti che prima erano impensabili».

Come a dire: si è fatto quel che si poteva con i (pochi) strumenti a disposizione.

E arrivano anche le perplessità sul metodo del concorso, che ha scalzato lei ma che, più in generale, sembra guardare molto all'estero: le polemiche non ci devono essere, dice, però che sarebbe andata così «era nell'aria da quel dì, da quando il bando del concorso era stato pubblicato sull'Economist. C'era qualcosa da dire allora. Non sono sorpresa adesso.

Lo sono stata all'inizio».

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