Cronaca locale

La Stonehenge di Aosta Viaggio nel Neolitico tra le misteriose stele

Apre il Museo megalitico: parco di un ettaro con dolmen, arature, crani forati da medici

Sabrina Cottone

L'impressione del cuore è vedere un'altra Stonehenge. Siamo di fronte a quarantasei stele antropomorfe alte fino a tre metri, a buchi di pali che con gli occhi chiusi e i libri aperti diventano totem, all'imponente zona di scavo che dal Neolitico arriva alle pareti di una villa romana. Perché l'area megalitica che sarà inaugurata oggi ad Aosta con Parco e Museo di Saint- Martin- de- Corléans, offre simili interrogativi e un'età non lontana (ci perdoneranno i cultori della preistoria) dalle pietre sospese della piana di Salisbury. A partire dalla destinazione cultuale di questo impressionante ettaro di terra giallo ocra che ad Aosta arriva dalle profondità del tempo. Al centro un dolmen, sepoltura che risale almeno al 2500, quando l'area era già presumibilmente diventata necropoli.

Ma andiamo per gradi, seguendo le accurate ricerche scientifiche di Franco Mezzena e dei suoi eredi. Oltre seimila anni fa, come testimoniano anche scavi di villaggi vicini che sembrano essere coevi, uomini come noi aravano la terra con disegni che lasciano immaginare la forza dei bovini e che aiuterebbero a riscrivere la storia dell'aratro, forse retrodatandone l'invenzione di un millennio.

Uomini che, secondo l'intuizione di Mezzena, erano arrivati dal Caucaso. Spiega Gianfranco Zidda, funzionario della Sovrintendenza ai Beni culturali della Val d'Aosta: «Le stele antropomorfe hanno due stili diversi. Le più antiche sono molto stilizzate, ricordano meno la figura umana, e sono simili a quelle rinvenute sul mar Nero, in Ucraina, in Crimea. Le più recenti hanno i rilievi di collane e cinture, ornamenti accuratissimi, persino le frange del gonnellino».

La semina non si limitava al cibo. Sono state rivenute vere e proprie coltivazioni di denti umani, incisivi per l'esattezza, che non avevano certo scopo alimentare ma cultuale o comunque apotropaico, scaramantico. Seminare i denti è un gesto ricco di echi nella mitologia greca. Giasone, per tornare in possesso del trono usurpato al padre in Tessaglia, va in Colchide (attuale costa del Mar Nero) alla conquista del Vello d'oro, la tanto ambita pelle d'ariete, e tra le prove che si trova ad affrontare con la nave Argo ce n'è una che ricorda da vicino quel che accadeva quattromila anni fa ad Aosta: seminare i denti di un drago in un campo arato, così che potesse fiorire un'armata di guerrieri. Tra i reperti di Aosta, una piattaforma lapidea che richiama la forma di un'imbarcazione aggiunge fascino alla storia. Connessioni suggestive che il Museo illustra con didascalie multimediali e tecniche attuali che aiutano ad avventurarsi in questo passato lontano e attraente.

Queste popolazioni praticavano riti e pratiche chirurgiche che a noi possono apparire avvincenti o agghiaccianti, ma che in ogni caso testimoniano l'esistenza di una comunità strutturata, in grado di costruire un sito cultuale di grandi dimensioni e di coltivare un'arte medica sviluppata. Tra i reperti sono stati trovati crani perforati, oggi conservati in teche, risalenti al 2.500 a.C., con fori di quattro o cinque centimetri. Due persone operate (una delle quali ha addirittura due fori nel cranio, cosa piuttosto rara) sono sopravvissute, mentre un terzo paziente non ha superato l'intervento: il medico sfregava con la selce fino a togliere un pezzo di osso, funghi e piante allucinogene servivano da anestesia rudimentale.

Il Museo potrà godere di una stretta connessione tra l'area di scavo vera e propria, la sala delle stele antropomorfe e dei dolmen: l'esatta posizione del ritrovamento sarà visibile a colpo d'occhio grazie a fasci laser che disegnano i contorni dei reperti. L'illuminazione più suggestiva è sull'area che ospita il dolmen principale, al centro dell'area di scavo: 500 faretti con tre sorgenti luminose a led consentiranno una continua variazione della luce, così che il visitatore in mezz'ora possa vivere l'intera giornata, dall'alba al tramonto, come se fosse all'aperto.

Magìe da macchina del tempo.

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