Cronaca locale

Sylos Labini «sfida» sul palco Van De Sfroos tra canzoni, dialetto e... poesie di Trilussa

Applausi e risate per il primo faccia a faccia con il cantautore lumbard

Marta Calcagno Baldini

Una serata per ricamare «il quadru de la sua storia» come «anca el ràgn söe la balaüstra». E la storia da ripercorrere è stata l'altra sera al Teatro Manzoni quella di Davide Van De Sfross, il cantautore musicista lombardo laghee classe 1965, una moglie e due figli («io a fare bambini non ci pensavo neanche, ero convinto non mi sarebbe mai capitato. Invece senza aspettarmelo ho incontrato una donna che con tutte le mie stranezze e disabilità mi ha accettato e mi sono trovato su una nuvola con scritto famiglia'»). Grazie a Edoardo Sylos Labini, che ha invitato il cantautore ad aprire la quarta e nuova stagione di Manzoni Cultura, il pubblico ha assistito ad un dialogo tra l'attore, autore e regista pomeziano e Van De Sfross intrecciato di tradizioni italiane e di sfide canore. «Del resto la vita è un naufragio necessario commenta il musicista reduce dal successo del recente concerto a San Siro-, si sbaglia sempre nello stesso punto. E serate come queste sono importanti, non è facile riuscire ad interrogarsi a fondo e parlare liberamente davanti a tante persone». Con espressioni vive e intrise della tradizione del suo territorio brianzolo, Van De Sfross è stato abilmente stuzzicato dal romano intervistatore a ripercorrere la sua carriera fin dagli inizi. «Mi chiamo Davide Enrico Bernasconi e sono nato a Monza, avevo i capelli a caschetto e mentre lo schermo proietta le sue immagini infantili - indossavo grandi maglioni di ciniglia. Oggi è un tessuto vietato». Una vita su un territorio di confine, con la Svizzera subito dall'altra parte del Lago di Como: «All'inizio, quando ero un musicista post-punk metà clessidra di timidezza e metà di voglia di scappare, io e il mio gruppo ci volevamo chiamare Frontiera o Niente da dichiarare. Poi il barbiere nostro amico ci diede l'idea per il nome: sempre mantenendo il contrabbando come chiave, decidemmo per Van de Sfross', che in dialetto comasco brianzolo vuol dire appunto... andare di frodo».

L'esperienza nel punk è stata fondamentale anche per la musica successiva, «ancora oggi ascolto musica psichedelica ed elettronica. Ma anche jazz e classica». Quel che è certo è che la mente e il cuore di Van De Sfross sono «pieni di storie. E c'è sempre quella che non ho ancora raccontato, sono un dado che sta ancora girando». E non ha senso chiedergli se nelle sue composizioni vengano prima le parole o la melodia: «sono connesso a una specie di energia che in modo quasi bluetooth viene dentro di me, mi domina finchè non l'hai stesa su un foglio. Sono le canzoni che mi posseggono». La scrittura? Una necessità. Altra costante nel lombardo Van De Sfross è il dialetto: «Una lingua viva, una lingua iniziatica». Il romano Labini, a questo punto, lo sfida: porta la chitarra e gli chiede di interpretare una ninna nanna di Trilussa. Del resto il cantante lombardo ha girato tutta l'Italia, tranne il Molise: «non mi hanno mai invitato...». E non certo per una forma di censura: «Le mie canzoni non sono politicizzate, sono per tutti». Ideali? «Cerco la spiritualità in tutte le sue forme. Certo, oggi mi sembra che gli uomini stiano provando a costruirsi un dio a loro immagine e somiglianza, comunque io vado in chiesa. Cerco Dio oltre l'iconografia». La serata si conclude con la musica: Sfross riprende la chitarra, e per una decina di minuti delizia il pubblico con le sue canzoni.

Le serate del lunedì continueranno con altri quattro appuntamenti al Manzoni, ai quali si aggiungeranno altri quattro incontri al terzo piano del Mondadori Megastore di Piazza Duomo.

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