Cronaca locale

Tribunale, vigilanti sotto inchiesta

Le tre guardie giurate in servizio all'ingresso da cui passò il killer sono accusate di omicidio colposo

Inevitabile. Quando Claudio Giardiello, l'uomo che lo scorso 9 aprile ha ucciso tre persone in tribunale, racconta a verbale come ha fatto a introdurre la sua pistola nel palazzo di giusitiza, i pubblici ministero bresciani che ascoltano non possono che fare una cosa. E la fanno. «Io sono passato regolarmente dal metal detector - ricorda l'assassino nel corso del suo interrogatorio - , mentre la borsa nella quale custodivo la pistola l'ho fatta passare dal Fep, lo strumento preposto al controllo degli effetti personali. Ho pensato che se avessero individuato l'arma avrei detto che volevo suicidarmi in Tribunale e avrei spiegato il perchè di quella intenzione». Ma l'arma non viene individuata. E così sotto inchiesta finiscono le tre guardie giurate che quella mattina controllavano l'ingresso del palazzaccio.

Rispondono di omicidio colposo, dunque, una guardia armata della società «All System» e due vigilantes non armati della «Securpolice», responsabili «per colpa» (ossia per negligenza, imprudenza o imperizia) della morte del giudice della sezione fallimentare Ferdinando Ciampi (freddato nel suo ufficio al secondo piano del tribunale), dell'avvocato Lorenzo Claris Appiani e del coimputato Giorgio Erba (raggiunti dai prioiettili esplosi dall'arma di Giardiello nell'aula in cui si stava svolgendo il processo). La procura di Brescia, a cui è stata trasmesso il fascicolo, ritiene dunque di dover chiarire le responsabilità dei tre addetti alla sicurezza, davanti ai quali è sfilato Giardiello con la borsa che conteneva la pistola nascosta - a quanto pare - sotto un personal computer. Proprio per verificare questa ipotesi, nei giorni scorsi gli inquirenti hanno simulato il passaggio di una pistola dallo stesso varco per capire se e come l'assassinso abbia cercato di schermare l'arma per eludere gli apparecchi di rilevamento. I militari del nucleo investigativo dei carabinieri hanno ripercorso il passaggio della pistola esattamente nei modi indicati dall'omicida nel suo interrogatorio: la luce del Fep si è accesa, ma nel monitor dei vigilantes è apparsa solo la sagoma del pc. Della pistola, nessuna traccia.

Che le guardie giurate del tribunale sarebbero finite nel mirino degli inquirienti era sembrato chiaro fin dall'inizio. Com'era possibile che un'arma entrasse nel palazzaccio violando i sistemi di sicurezza? Le risposte possibili, in fondo, non era molte. Forse era stato un complice a introdurre l'arma in tribunale. Magari inconsapevolmente. Un avvocato - che come tale non è tenuto a passare sotto il metal detector - al quale Giardiello avrebbe potuto affidare la borsa nella quale era nascosta la pistola. Oppure l'assassino avrebbe potuto utilizzare un falso tesserino da avvocato, aggirando i controlli e passando - per riudurre al minimo i rischi - dall'unico accesso del palazzo di giustizia sprovvisto di sistemi elettronici di controllo, e riservato a magistrati e legali.

Ma visto il racconto fatto da Giardiello ai pubblici ministeri - e la cui fondatezza dovrà essere verificata - , l'indagine non poteva che indirizzarsi sulle responsabilità dei vigilanti.

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