Cronaca locale

«Uomo e galantuomo» diventa semi-napoletano

La stagione della prosa al Teatro Manzoni si apre alla grande drammaturgia di Eduardo De Filippo, con il classico «Uomo e Galantuomo», commedia agrodolce dal sapore farsesco in cartellone fino al 27 ottobre. Nell'allestimento diretto da Alessandro D'Alatri, regista ormai felicemente diviso tra «missione» cinematografica e teatrale, la pièce giunge sull'importante piazza milanese sull'onda del consenso di pubblico e critica raccolto al Festival di Borgio Verezzi: qui, dove debuttò la scorsa estate, lo spettacolo si è aggiudicato il Premio Camera di Commercio di Savona per la qualità della messa in scena e per l'interpretazione dei protagonisti, tra i quali spiccano veterani come Gianfelice Imparato e Giovanni Esposito. «D'Alatri - spiega Imparato - da tempo voleva mettersi alla prova con un testo di Eduardo e con la napoletanità. In due giorni abbiamo preso la decisione di lavorare insieme su questa commedia. Ci intrigava riuscire a raccontare sul palcoscenico un Eduardo con occhio più distaccato. Il punto di osservazione di Alessandro, dunque un non-napoletano, è diverso: ne è nata una messa in scena più sobria, moderna ed elegante». Tra echi di Pirandello e accenni dell'Eduardo più maturo che sarebbe venuto, «Uomo e Galantuomo» è un testo che ebbe una sua particolare evoluzione: scritta nel 1922 e dedicata al fratello Vincenzo Scarpetta, quest'opera nacque come atto unico, per poi svilupparsi in tre atti e, in quest'ultima forma, conquistare il palcoscenico solo undici anni dopo, nel 1933. La ricetta della commedia degli equivoci, quella in cui Eduardo era maestro indiscutibile, si rivela infallibile in questa storia di «teatro nel teatro»: una compagnia di guitti di poche speranze deve mettere in scena «Malanova», testo del napoletano Libero Bovio, ma le speranze di riuscita sembrano infime. Difatti, i primi responsi del pubblico sono crudeli e, in una situazione siffatta, irrompe sulle scena (della vita, non teatrale) il fratello della prima attrice, determinato a imporre nozze riparatrici tra costei e il capocomico che l'ha messa incinta. Le cose, come si può supporre, non saranno così semplici, perché la verità non è mai così netta e comprensibile, in una girandola di scambi di ruoli e responsabilità, e dunque di volti, che per l'appunto evoca il mondo di Pirandello. Nell'opera affiorano, come fiumi carsici, tutti i temi che Eduardo avrebbe scandagliato in futuro con penna mirabile: il perbenismo borghese, i tradimenti (le classiche «corna»), le alchimie famigliari e la fame che spinge al compromesso. Insomma, quando le difficoltà della vita si fanno pressanti, non è sempre facile tenersi in equilibrio tra le necessità dell'Uomo e le regole del Galantuomo. «È uno spettacolo compatto - spiega Gianfelice Imparato - senza cali di tensione. Si riesce a ridere per tutti i tre atti. Il nostro approccio al testo è stato di assoluto rigore filologico, e il linguaggio usato da Eduardo, pur essendo napoletano, non è strettissimo».

Sul rapporto tra Milano ed Eduardo, Imparato non ha dubbi: «Questa città, lo dimostra la sua storia teatrale, ha sempre amato senza cedimenti il teatro di De Filippo».

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