Cronaca locale

Un viaggio dentro Milano tra Testori e Visconti

«La purezza e il compromesso» diretto da Trotti scava nel sottosuolo della città e si immerge nelle periferie

Antonio Bozzo

Un colpo di teatro alla rovescia - l'incendio accidentale che nel pomeriggio del 30 aprile ha danneggiato le scenografie - ha costretto al rinvio del debutto: previsto per ieri, sarà invece martedì 7, se non addirittura dopo. Ma La purezza e il compromesso lo vedremo al Teatro Franco Parenti in prima nazionale, fino al 12 maggio. E meno male: lo spettacolo è un omaggio a Luchino Visconti e Giovanni Testori, due massime divinità nel cielo sopra Milano. Con scrittura scenica e regia di Paolo Trotti, prodotto da Linguaggicreativi, con una squadra in palcoscenico composta da Stefano Annoni, Michele Costabile, Diego Paul Galtieri, Margherita Varricchio, La purezza e il compromesso è il terzo capitolo di un viaggio alla scoperta del senso di Milano. I primi, e hanno avuto successo, sono stati La nebbiosa, da Pierpaolo Pasolini, e I ragazzi del massacro, da Giorgio Scerbanenco.

Abbiamo detto viaggio, in realtà si tratta di uno scavo speleologico nel sottosuolo (inteso alla Dostoevskij, come inconscio) di una città, o meglio di una periferia che è un lembo di Milano, ma volutamente potrebbe appartenere a qualsiasi altro lacerto di metropoli. I testi ispiratori della drammaturgia originale sono i racconti testoriani del Ponte della Ghisolfa, che si svolgono verso la fine degli anni 50. Riletti anche nella versione che ne diede Visconti al cinema, nel 1960, nel capolavoro Rocco e i suoi fratelli. Il regista, nobile e comunista, mise in luce gli aspetti più scabrosi dell'emigrazione proletaria verso il Nord, senza riguardo al «politicamente corretto» (peraltro non esisteva). Protagonisti in scena sono i fratelli Rocco e Simone, che affrontano in modo diverso il trapianto nella grande città. Rocco resta puro, non subisce contaminazioni morali; Simone scivola nella corruzione, attratto dalle sirene del denaro e della dolce vita.

Ma a tenere i fili della trama, di relazioni umane e suggestioni sceniche, è la madre dei fratelli, che abbandona la Lucania per raggiungere i figli nel groviglio metropolitano. Scrive Trotti nelle note di regia: «Il femminile ha necessità di generare e preservare la vita, anche con il coraggio di lasciare una terra e il desiderio di vedere i figli rivalersi sulla povertà, pur se questo richiede che ci si faccia spaccare la faccia su un ring di periferia». Sempre Trotti lega, non sappiamo con quanta giustificazione culturale (attualizzare tutto è moda), la vicenda a drammi di oggi, come le migrazioni indotte da guerra e fame, sulle quali speculano spietati trafficanti. Sentiamolo: «Lo spettacolo parte dalla centralità del corpo come unico bene di valore che possiedono gli emigranti, i fuggiaschi.

È una riflessione sul corpo come strumento di scambio.

L'essenza dell'essere è dichiararsi umani, nonostante tutto e tutti».

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