Politica estera

È morto Henry Kissinger, il segretario di Stato che ha cambiato gli Usa e il mondo

Henry Kissinger, stratega della politica estera americana degli anni Settanta, e vincitore del Premio Nobel per la Pace, è deceduto ieri sera all'età di 100 anni

È morto Henry Kissinger, il segretario di Stato che ha cambiato gli Usa e il mondo

Lo stratega della politica estera americana se n’è andato. Henry Kissinger, l’uomo che ha vinto il Premio Nobel per la Pace per aver contribuito a porre fine alla guerra in Vietnam, è deceduto all’età di 100 anni nella sua casa in Connecticut ieri sera.

Nato nel 1923 a Fürth, in Baviera, da genitori ebrei, abbandona la Germania nazista nel 1938 e fugge prima a Londra e poi a New York. È qui che cambia il suo nome da Heinz ad Henry e si iscrive ai corsi serali della George Washington High School, mentre di giorno lavora come operaio in una fabbrica. Nel 1943 entra nell’esercito e diventa traduttore dal tedesco nei servizi di controspionaggio e, a soli 21 anni, riceve l’incarico di organizzare il governo della cittadina di Krefeld. Probabilmente comincia così la sua passione politica che, poi, metterà in pratica nei piani più alti della Casa Bianca. Nel 1950 si laurea a Harvard con lode e nel 1954 discute la tesi di dottorato sui problemi della pace nell'Europa del 1812. Fa una brillante carriera accademica all’interno di Harvard assumendo prima il ruolo di Direttore del Centro di Studi sulle armi nucleari e sulla politica estera e, poi, quello del Centro di Studi sulla Difesa.

L'arrivo alla Casa Bianca

Ha, poi, una breve esperienza come consigliere del presidente democratico John Kennedy con il quale non riesce ad instaurare mai un buon rapporto. Dopo l'assassinio di Jfk, Kissinger collabora con il suo successore, Lyndon Johnson, che lo spedì in Vietnam per verificare l'attendibilità dei rapporti della Cia. “Con Kennedy e con Johnson io non fui mai in una posizione paragonabile a quella che ho adesso con Nixon”, disse a Oriana Fallaci nella memorabile intervista del 1973 che destò scalpore in tutto il mondo per una frase in cui si paragonò a un cowboy.“Agli americani piace il cowboy che guida la carovana andando avanti da solo sul suo cavallo, il cowboy che entra tutto solo nella città, nel villaggio col suo cavallo e basta…”. Dichiarazione che, poi, Kissinger cerca di smentire in tutti i modi ma senza riuscirvi.

Perché Kissinger ha ricevuto il Nobel per la pace

Kissinger, al di là della collaborazione con i due presidenti democratici, aveva un animo profondamente repubblicano e, nonostante l’avesse osteggiato in passato, fu proprio Richard Nixon nel 1969 a nominarlo Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Da questo momento Kissinger diventa il “burattinaio” della politica estera americana basata su una nuova Realpolitik tesa alla distensione tra USA e URSS e al riavvicinamento tra Washington e Pechino culminato nel 1972 con il summit tra Nixon e Mao, grazie al quale la Cina uscì dall’isolamento internazionale in cui si trovava. “Quest'uomo troppo famoso, troppo importante, troppo fortunato, che chiamavano Superman, Supersyar, Superkraut, e imbastiva alleanze paradossali, raggiungeva accordi impossibili, teneva il mondo col fiato sospeso come se il mondo fosse la sua scolaresca di Harvard”, scrisse la Fallaci nel suo libro dove drammaticamente commenta: “Poi, un anno dopo, Kissinger divenne segretario di Stato al posto di Rogers. A Stoccolma, gli dettero perfino il premio Nobel per la Pace. Povero Nobel. Povera Pace”.

Ma il 1973 è anche l'anno in cui il generale Augusto Pinochet, con l’aiuto degli americani, prende il posto di Salvador Allende, l’ex presidente socialista del Cile ucciso nel corso del golpe. Sebbene le responsabilità di Kissinger non siano mai state provate, l’allora segretario di Stato, a proposito di Allende, disse: “Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”.

Per quanto riguarda i rapporti con l’Italia, Indro Montanelli scrisse che “In una conferenza stampa a Nuova Delhi, Henry Kissinger ha dichiarato che verrà a Roma e andrà a pranzo dal presidente Leone, ma non parlerà di politica perché quella italiana è, per lui, troppo difficile da capire. È la prima volta che Kissinger riconosce i limiti della propria intelligenza. Ma vogliamo rassicurarlo. A non capire la politica italiana ci sono anche cinquantacinque milioni di italiani, compresi coloro che la fanno”.

Il Watergate e il ritiro dalla politica di Kissinger

La carriera di Kissinger continua, sempre come segretario di Stato, anche dopo lo scandalo Watergate che travolge l’amministrazione Nixon, sotto la presidenza di Gerald Ford. Questo è il suo ultimo incarico pubblico ricoperto fino al 2002 quando George W. Bush lo nomina presidente della commissione che ha il compito di chiarire gli eventi che hanno portato agli attentati dell’11 settembre. Kissinger si dimette dopo pochi mesi ma la sua influenza in campo geopolitico non è mai venuta meno. Tutto merito del politologo italiano, Giovanni Sartori, che raccontò:“Fui io a riportarlo alla ribalta nel 1977, quando organizzai a Washington, con l'American Enterprise Institute, un grande convegno per discutere dell'eurocomunismo, dopo che i fatti cileni avevano spaventato persino Enrico Berlinguer e il Pci di allora. Accettò il mio invito, parlò davanti ad un'aula gremitissima. Da allora non si fermò più”. Membro della Trilateral Commission, ha continuato ad intervenire sino agli ultimi anni della sua vita.

Kissinger, dopo il voto sulla Brexit, spiegò: “La sfida più profonda per l’Unione Europea non è la sua gestione ma i suoi obiettivi finali. In un mondo in cui i continenti sono sconvolti da valori in conflitto tra loro è assolutamente necessario uno sforzo comune di immaginazione da parte dell’Europa e dei suoi partner atlantici”. Sulla crisi tra Russia e Stati Uniti negli anni della presidenza Obama, invece, è stato molto chiaro: Putin non è la replica di Hitler, - disse in una delle sue ultime interviste - e non intende lanciare una politica di conquista. Il suo obiettivo è ripristinare la dignità del proprio Paese, da San Pietroburgo a Vladivostok, come è sempre stato. Ciò risponde ad un antico nazionalismo, ma anche ad una storia diversa dalla nostra. Considerare Mosca come un potenziale membro della Nato è sbagliato”.

Qualche anno fa l'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, lo ha voluto incontrare alla Casa Bianca proprio “per parlare di Russia e altri temi”.

E sul conflitto in Ucraina ha pungolato Washington, riconoscendone parte della responsabilità insieme alla Russia, ma ammettendo la possibilità di far entrare un giorno Kiev nella Nato. Il vecchio stratega, fino all’ultimo, non ha smesso di sussurrare ai potenti…

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