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Quell'università islamica accusata di allevare jihadisti

Oggi papa Bergoglio in visita il grande imam Al-Tayyeb. Obiettivo distendere i rapporti tra la Santa Sede e Al Azhar, il "vaticano dell'islam sunnita". Ma sull'Università si addensano ombre

Quell'università islamica accusata di allevare jihadisti

Papa Francesco è al Cairo. Un viaggio su cui molto si è scritto e probabilmente di cui molto si parlerà. Bergoglio vola nella terra dove nella Domenica della palme l'Isis ha compiuto un'orrenda strage contro i cristiani. Due bombe al Cairo ed Alessandria hanno falciato la vita di almeno 47 persone e ne hanno ferite un centinaio. Numeri da bollettino di guerra che faranno da sfondo alla visita papale.

Già, perché nonostante la destituzione del governo di Morsi e il ridimensionamento dei Fratelli Musulmani, l'Egitto rimane una terra di contraddizioni. Un Paese che troppo spesso corre sul filo del rasoio tra radicalismo islamico e lotta al jihadismo. Il fulcro del viaggio di Bergoglio sarà l'Università di al Azhar, considerata da più parti il cuore dell'islam sunnita: una sorta di "Vaticano islamico". Tra la Santa Sede e il prestigioso ateneo da 10 anni era sceso il gelo a causa delle dichiarazioni di Benedetto XVI, che a Ratisbona nel 2006 denunciò le derive fondamentaliste dell'islam. Francesco ha deciso di riaprire il dialogo, invitando nel marzo scorso il Grande Imam a Roma e andando in visita al Cairo. Ma sull'Università islamica, voce forte dell'islam moderato, permangono ancora molte ombre.

Le passate polemiche con l'imam

A capo di al Azhar c'è Ahmed al Tayyeb. Mesi fa in Italia montarono diverse polemiche per la scelta di Laura Boldrini di invitarlo a parlare a Montecitorio. Perché? Semplice: sebbene si presenti come un moderato, alcune sue dichiarazioni suonano tutt'altro che amichevoli. "Secondo il Corano - disse una volta la più alta autorità dell'islam sunnita - una donna prima si ammonisce, poi si dorme in letti separati, infine si colpisce". Cioè si picchia, anche se "non bisogna esagerare". Inoltre, in alcuni sermoni aveva invitato all'unità il mondo musulmano contro "il comune nemico sionista". Nel 2002 alla domanda se "gli attacchi suicidi contro i civili in Israele sono la sola forma di resistenza legittima", rispose con un secco "sì".

Ma anche in Egitto l'imam è finito sotto il fuoco incrociato di chi valuta troppo "debole" la condanna di Al Azhar contro il terrorismo. Nel 2016 Ahmed Abdu Maher, un ricercatore dell'Università, rese noto che nei corsi vengono usati libri "che portano a laurearsi generazioni di terroristi". In quei giorni l'Egitto era sconvolto dall'assassinio del procuratore generale Hisham Barakat, omicidio in cui sono stati coinvolti 3 studenti dell'ateneo (poi espulsi), e la denuncia non passò inosservata. Cosa c'è scritto nei testi incriminati? Che se affamati si "può mangiare il corpo di un morto, se non trovano alternative, ma se il defunto è un musulmano e l'affamato è un infedele, questi non ha il permesso di mangiare per l'onore dell'Islam". Oppure, che è lecito uccidere i cristiani "perché il sangue di un infedele e di un musulmano non sono uguali". Non certo posizioni "moderate", insomma. Negli ultimi anni alcuni di questi passi dovrebbero essere stati tolti dai libri di testo dell'Università, ma i volumi integrali si trovano facilmente in tutte le biblioteche egiziane. Per questo Ahmed Maher sostiene che i terroristi dell'isis "implementano l'eredità islamica insegnata da Al Azhar". Posizione peraltro perorata anche dal parlamentare del partito "I liberi egiziani", Mohammed Komy, che dopo le stragi di Pasqua ha chiesto al Grande Imam di portare avanti il "rinnovamento religioso promesso, altrimenti continuerà a diffondere un pensiero che alleva estremisti e terroristi".

Le richieste di Al Sisi

In fondo fu il presidente Al Sisi nel 2015 a invitare l'istituzione islamica a intraprendere un percorso di "rinnovamento del discorso religioso". Cammino che per ora ha conosciuto più ostacoli che successi. Pochi giorni dopo l'invito del presidente egiziano, Ahmed al Tayyeb dall'alto della sua autorità disse che "chi commette attacchi terroristici in nome dell'islam non può essere definito apostata". I cristiani sono infedeli, ma i miliziani dell'Isis no. Alla faccia del dialogo interreligioso. Peraltro, Al Sisi e la guida religiosa sono arrivati ai ferri corti anche quando il primo chiese al secondo di contrastare la prassi islamica del "divorzio a voce", che permette agli uomini di allontanare le mogli con una semplice dichiarazione verbale. La risposta? "È una prassi che soddisfa le condizioni della legge islamica". Infine, la ferita tra le due istituzioni si è riaperta in questi giorni, quando il deputato Mohamed Abu Hamid ha presentato un legge per ridurre il mandato del Grande Imam e per separare alcune facoltà dalle scienze religiose, fondando una nuova Università che possa accettare anche studenti di religione non islamica.

Le stragi di Pasqua e Al Azhar

Dopo l'incontro in Vaticano tra Al Tayyeb e Francesco si pensava che l'ateneo sunnita iniziasse davvero a muoversi a grandi passi verso l'abbandono delle derive integraliste. Gli attentati della Domenica delle palme hanno però ravvivato il fuoco dei sospetti. Islam al-Behery, popolare riformatore accusato di apostasia e blasfemia, in televisione ha spiegato che "il 70-80% del terrore degli ultimi 5 anni è stato prodotto da al Azhar". Cioè dagli insegnamenti dati dall'Università che oggi papa Francesco ha deciso di visitare.

In quell'Egitto dove in una città al sud "Al-Minya", il 18 aprile 2017 una commissione sostenuta dal sindaco ha firmato un documento in cui vengono stilate le condizioni che i cristiani devono seguire per costruire una chiesa: non deve avere né l'insegna, né il campanello e neppure la croce.

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