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Paura ebola: test sui leader africani

Obama non si fida dei controlli locali e annuncia: i partecipanti al summit a Washington saranno sottoposti a visite

Paura ebola: test sui leader africani

Chiudete gli occhi e immaginatevi un Matteo Renzi, o un qualsiasi nostro ministro, pronti a salire su un podio e annunciare l'immediata imposizione di controlli anti ebola non solo sugli immigrati irregolari, ma su chiunque provenga dall'Africa. Capi di stato compresi. L'indignazione e le accuse di razzismo spegnerebbero anche la più documentata e giustificata necessità di controlli. A quel punto anche morire tra dissenterie ed emorragie diventerebbe più accettabile che infrangere le sacre e auree regole del politicamente corretto. Ma se invece di chiudere gli occhi preferite aprirli ascoltatevi le dichiarazioni di Barack Obama. Lui, il presidente capace, un tempo, di far andare in brodo di giuggiole i politically c orrect di tutto il pianeta, fa sapere di pretendere rigorosi controlli sanitari su tutti i propri omologhi invitati al summit dei paesi africani convocato per domani a Washington. Controlli che, per non sbagliare, verranno effettuati sia alla partenza sia all'arrivo: «Prenderemo tutte le precauzioni - spiega Obama - affinché si sottopongano agli esami quando partono dai loro aeroporti e accettino controlli aggiuntivi qui da noi».

Il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti fa insomma capire che la sua amministrazione si fida assai poco dei test medici effettuati negli scali africani e ne pretende di aggiuntivi. Rigorosamente garantiti e controfirmati dalle autorità sanitarie americane. Le paure e le precauzioni del presidente democratico fanno il paio con lo sfacciato altolà che l'imprenditore repubblicano Donald Trump, lo spregiudicato protagonista della versione originale di The Apprentice , oppone al rientro negli Usa di Nancy Writebol e Kent Brantly, i due missionari americani contagiati in Liberia mentre curavano i malati di Ebola. «Fermate i pazienti di ebola dall'entrare negli Usa. Curateli là. Gli Stati Uniti hanno abbastanza problemi!», dichiara Trump con un tweet che fa discutere e divide l'opinione pubblica americana.

Le paure dell'America e il rigore di un Obama che definisce Ebola «qualcosa da prendere molto seriamente» sono sintomatici dell'allarme generato da un'epidemia dimostratasi capace, in sei mesi, di allargarsi dalla Guinea alla Nigeria, dalla Sierra Leone dalla Liberia. Un'epidemia che ora, dopo aver contagiato 1323 persone uccidendone 729, minaccia non solo tutta l'Africa, ma anche il resto del mondo. La prima a confermare le paure di Obama - sottolineando la pericolosità di un virus «dimostratosi capace contrariamente ai precedenti di espandersi attraverso il trasporto aereo» - è la direttrice dell'Organizzazione Mondiale per la Sanità Margaret Khan. «Ebola avanza più velocemente degli sforzi per controllarlo e le conseguene - ripete la direttrice dell'Oms - possono essere catastrofiche in termini di vite perdute e dell'«elevato rischio di diffusione in altri Paesi». Le inquietudini del presidente americano e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità non sembrano invece turbare l'ottimismo sereno e politicamente corretto del nostro ministro della salute Beatrice Lorenzin. «Ebola è una malattia difficilmente trasferibile, si trasmette con i fluidi e si manifesta in tre giorni....quindi un caso conclamato non può arrivare con un barcone», rassicura il ministro. Peccato soltanto che la rassicurazione si basi su un'evidente omissione. A fronte del tempo minimo d'incubazione, ebola ne prevede anche uno massimo.

E questo - purtroppo per noi e per l'ottimismo gaiamente scientifico della Lorenzin - si estende fino a tre settimane.

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