Mondo

Siria, l'allarme Usa: "Oltre 100 jihadisti in fuga, non sappiamo dove siano"

Secondo l'inviato in Siria del presidente americano Donald Trump, James Jeffrey, oltre cento miliziani dell'Isis sono fuggiti dalle carceri curde dopo l'offensiva turca: "Non sappiamo dove siano"

Siria, l'allarme Usa: "Oltre 100 jihadisti in fuga, non sappiamo dove siano"

Oltre cento jihadisti tornati a piede libero. È uno degli effetti collaterali dell’offensiva turca lanciata all’inizio di ottobre dal presidente Recep Tayyip Erdogan nel nord est della Siria. A fornire questi dati, durante un’audizione alla commissione Esteri della Camera è stato l’inviato del presidente Donald Trump nel Paese mediorientale, James Jeffrey.

Il numero dei prigionieri che sono fuggiti, ha detto, “è superiore a cento”. Si tratterebbe dei combattenti più pericolosi, quelli rinchiusi nelle prigioni di massima sicurezza. “Non sappiamo dove siano", ha poi aggiunto dopo essere stato interpellato sul tema. A lanciare l’allarme nei giorni scorsi sulle sorti dei miliziani islamisti riusciti ad evadere dalle carceri curde dopo il blitz di Ankara nel Rojava, era stato anche il ministero della Difesa di Mosca. Per il ministro russo Sergej Shoigu i jihadisti in fuga potrebbero essere addirittura fino a 500. Sulle loro tracce ci sono le forze russe che, secondo il ministro, hanno adottato delle "misure" apposite per catturarli.

Un contingente americano invece, ha reso noto oggi Jeffrey, sarebbe rimasto nel nord del Paese proprio per vigilare sulle carceri gestite dai curdi delle Forze democratiche siriane. La preoccupazione, però, è che molti dei combattenti che hanno fatto perdere le proprie tracce grazie al caos scatenato dall’intervento turco ora possano fare ritorno nei propri Paesi d’origine. Tra questi ci sono Germania, Francia, Spagna, Belgio, Gran Bretagna e anche l’Italia. Shoigu parla di una “migrazione di ritorno” che potrebbe far rivivere l’incubo del terrorismo nelle città europee.

Per questo sul mantenimento della sicurezza dei centri di detenzione Mosca ha auspicato uno sforzo congiunto della comunità internazionale. Sono dodici le carceri rimaste incustodite dopo l’inizio dell’offensiva di Erdogan contro i curdi. Dal campo di Ayn Issa, ad esempio, all’inizio del mese sono riuscite a scappare quasi 800 persone che erano state trasferite dopo la presa di Raqqa. Vedove, figli e famigliari dei jihadisti che controllavano la roccaforte del sedicente Stato Islamico. "Nessuno sa dove andranno - ha detto Shoigu - ma a nostro avviso questo è un problema che deve essere affrontato immediatamente e non solo a livello Russia-Turchia-Usa”.

Alcuni Paesi europei, come il Belgio, dopo i ripetuti appelli del presidente americano in questo senso, hanno iniziato a rimpatriare i propri concittadini detenuti nelle carceri curde perché sospettati di avere avuto legami con l'Isis. Anche Francia e Germania stanno valutando un’operazione di questo tipo, dopo che nei mesi scorsi l’intelligence di Parigi e Berlino aveva riportato a casa i figli di alcuni miliziani. “È una buona notizia - aveva twittato Trump, - ma dovevano farlo dopo che li avevamo catturati”.

L’allerta sul potenziale ritorno di decine di foreign fighter è massima anche in Italia, dove gli 007 hanno messo in conto anche il rischio che i jihadisti possano usare le rotte dei migranti per arrivare in Europa.

La più gettonata è quella che parte dalla Turchia, ma gli islamisti potrebbero sfruttare anche il canale dei barconi che continuano a prendere il largo da Tunisia e Libia per raggiungere le nostre coste.

Commenti