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Caso Salis, botte e raid antifascisti: ecco perché non si può trattarla solo da vittima

Ha aderito al blitz della celebre «Banda del martello», i cui membri sono stati condannati in Germania. Era armata: da chi doveva difendersi e perché?

Caso Salis, botte e raid antifascisti: ecco perché non si può trattarla solo da vittima

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Caso Salis, botte e raid antifascisti: ecco perché non si può trattarla solo da vittima

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Premettiamolo. Vedere Ilaria Salis incatenata e trascinata in aula come un cane al guinzaglio ci disgusta. E ci disgusta due volte trattandosi della reiterazione di quanto già successo nella prima udienza del processo. E non ci consola immaginare che la replica rappresenti una sorta di risposta del governo o della magistratura ungherese alle critiche di chi in Italia la vorrebbe libera e redenta.

Detto questo ricordiamoci una cosa. Trattare la Salis come un cane è profondamente ingiusto, ma dipingerla alla stregua di un innocente agnellino lo è altrettanto. Perché aldilà di quello che verrà deciso nelle aule di giustizia magiare la 39enne maestrina di Monza ha responsabilità ben precise. Se non penali, almeno morali e ideologiche. La prima, peraltro mai negata dalla stessa Salis, è quella di aver aderito e partecipato ad una sorta di “safari” antifascista il cui unico obbiettivo era aggredire e bastonare i militanti di estrema destra ritrovatisi a Praga l’11 febbraio 2023 per il cosiddetto Giorno dell’Onore. Una cosa è condannare le celebrazioni delle truppe naziste cadute sotto i colpi dei sovietici nel 1945. Un’altra, assai meno innocente, è accompagnarsi a chi punta a massacrar di botte chi vi partecipa. A tutto ciò s’aggiunge l’aggravante, non indifferente, di esser stata fermata dalla polizia ungherese mentre condivideva un taxi assieme a due militanti tedeschi della cosiddetta «Banda del Martello». Il gruppo, per quanto sconosciuto in Italia, è tristemente famoso in Germania per le decine di aggressioni ai danni dei militanti di estrema destra messe a segno dal 2018 in poi.

Non a caso dopo l’arresto della Salis e dei due militanti tedeschi - e la successiva segnalazione alle autorità di Berlino delle gravi aggressioni succedutesi a Budapest - la giustizia tedesca si è immediatamente mossa.
Nei giorni successivi la polizia di Dresda ha individuato ed arrestato Lina Engel, indicata come la leader della Banda del Martello, e altri quattro militanti dell’estrema sinistra. E a giugno 2023, dopo 97 giorni di processo, un tribunale di Dresda ha condannato a cinque anni e tre mesi Lina Engel e a pene minori i suoi quattro complici.

Tutti e cinque i colpevoli sono stati indicati dai giudici come i membri di «organizzazione criminale» responsabile di «pericolosi assalti» alle persone. Una sentenza estremamente chiara emessa da un tribunale tedesco non sospettabile di sudditanza nei confronti del governo di Viktor Orban o della magistratura magiara. Ora, per quanto nessuna delle analoghe accuse rivolte alla nostra connazionale sia stata ancora provata, è chiaro che certe frequentazioni non giovano alla sua reputazione. Anche perché il suo fermo in compagnia di due membri di quella «banda criminale» tedesca è arrivato dopo i quattro attacchi susseguitisi a Budapest tra giovedì 9 febbraio 2023 e la notte del giorno successivo. La Salis fin qui è stata scagionata per i primi due in quanto non era ancora arrivata nella capitale ungherese. I sospetti e le accuse per una presunta partecipazione agli altri due episodi di violenza però permangono.

E a render più gravi i sospetti s’aggiunge il fatto che al momento del fermo la polizia le abbia trovato addosso un manganello retrattile dello stesso tipo di quello usato in alcune delle aggressioni. La Salis ha giustificato il possesso di quell’arma impropria sostenendo di esserselo messo in tasca per autodifesa. Ma autodifesa da chi? Se la sua fosse stata una semplice gita di piacere, magari arricchita dall’incontro di alcuni compagni di militanza tedeschi, la Salis non avrebbe avuto nulla da temere. E nulla da cui difendersi. Anche perché nessuno dei cosiddetti «nazisti» radunatisi a Budapest la conosceva. E tanto meno la minacciava. Ma evidentemente la necessità di girare armata di manganello rispondeva a ragioni diverse da quelle di una semplice escursione all’estero.

Ragioni sufficienti a immaginare una Salis ben diversa dall’agnellino mansueto descritto da una sinistra pronta a beatificarla e liberarla grazie all’elezione al Parlamento europeo.

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