Ogni 48 ore una donna vittima di violenza

Una dopo l’altra. Sessantaquattro in soli quattro mesi. In pratica, ogni due giorni una nuova donna maltrattata dal proprio compagno che trova la forza di chiedere aiuto. Succede a Milano, in centro come nell'hinterland, alle ragazze straniere e allo stesso modo a quelle italiane. «L’unica differenza - spiega la ginecologa Alessandra Kustermann - è che le prime spesso sono più sole».
Varcata la porta della Mangiagalli, devono percorrere ancora un corridoio per arrivare al Servizio violenza domestica (Svd). Ma spesso per raggiungere quella porta, lontana da occhi indiscreti, è necessario superare un battaglia contro se stesse. «C’è chi arriva solo dopo anni di maltrattamenti - spiega la psicoterapeuta del Svd Elena Calabrò - quando la percezione del rischio per la propria vita o per l’incolumità dei figli supera il livello di tolleranza». Non riescono più a sopportare la violenza, in tutte le sue sfaccettature a cominciare da quella psicologica, fino a quella fisica che spesso sfocia nell’abuso sessuale «anche se molte delle donne che si rivolgono a noi faticano a giudicarlo un reato», spiega Kustermann. E i dati Istat confermano questa tendenza: in Italia infatti, solo il 18,2 per cento delle vittime di violenza domestica la considera un crimine; certo per 44 donne su 100 è qualcosa di sbagliato, ma ben 36 lo ritengono solo un avvenimento, niente di più. «Per questo spesso arrivano da noi dopo anni, quando la speranza di risolvere la situazione si è esaurita e non tutte sono già veramente in grado di chiudere definitivamente l’ambiguità di un rapporto del genere». Secondo la dottoressa Calabrò in questi casi molti fattori insiti nella personalità della donna giocano un ruolo determinante: «Il nostro obiettivo è aiutarle a ritrovare l’identità perduta, ma non è semplice, soprattutto con quelle che hanno perso completamente la propria autostima».
Impossibile tracciare l’identikit del compagno violento, «l’abuso della propria compagna non è sempre collegato ad altri comportamenti devianti - precisa la ginecologa - è diffuso trasversalmente tra tutti gli strati sociali e sfugge a schematizzazioni rigide». Spesso l’incubo inizia con l’arrivo di un figlio e dopo il primo episodio, comincia la fase della cosiddetta «luna di miele», quel periodo in cui il rimorso del partner lo porta a diventare dolce e premuroso, ma non certo a cambiare i propri atteggiamenti prevaricanti. Poi segue una nuova violenza e così via. Fino a gesti estremi, che costringono le donne ad andare al pronto soccorso. «I medici sono abituati ad ascoltare le storie più inverosimili, raccontate per coprire l’aggressione subita dal partner, ma appena nasce il sospetto di un abuso ci contattano così cerchiamo di avvicinare la vittima, per offrirle il nostro aiuto». Dal sostegno psicologico, alla consulenza legale, fino ai casi più estremi (per ora sei), dove è necessario rivolgersi a delle comunità protette per mettere al sicuro la loro vita.

Al centro (aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 16) la dottoressa Kustermann coordina il lavoro di cinque psicologhe e tre assistenti sociali, reperibili telefonicamente 24 ore su 24 e determinate a far comprendere a queste donne che è finito il tempo in cui «i panni sporchi» si lavavano solo in casa.

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