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Il progetto della Schlein: "Derenzizzare" il Pd

La segretaria rinnega Jobs Act e linea atlantista per inseguire Landini e Conte. Dem in rivolta

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L’idea di «nuovo Pd» di Elly Schlein (foto) inizia (dopo un lungo e impacciato rodaggio) a delinearsi. È un’idea semplice e a suo modo astuta (se non fosse che lo spazio politico che vorrebbe occupare è già al momento presidiato da M5s e rosso-verdi): trasformare il Pd nel contrario del Pd, facendo rinnegare al Pd le scelte del Pd. Il modello psicologico si parva licet etc. - è un po’ quello dell’Urss di Peppone Stalin, in cui i dirigenti politici sovietici caduti in disgrazia presso il despota venivano accuratamente tagliati via dalle foto-ricordo di regime, per cancellarne la memoria. Nel giro di pochi giorni, la segretaria dem ha scelto (sempre con il suo stile cauto piuttosto forlaniano, dicendo e non dicendo) di rinnegare due scelte storiche e identitarie del proprio partito: la riforma del lavoro del governo Renzi, il Jobs Act, e la scelta euro-atlantista del governo Draghi e di Enrico Letta. Lo ha fatto a mezza bocca, più per accenni e segnali di fumo che con chiari ragionamenti politici, ma il messaggio è arrivato, e ha creato immediati mal di pancia interni. Prima l’esternazione sulla necessità di rinviare gli impegni presi dall’Italia (e dai governi sostenuti dal Pd) verso la Nato sulla spesa per la difesa. Poi, la cancellazione della riforma del lavoro varata dal governo Pd di Renzi. Il leader Cgil Maurizio Landini ha proclamato di voler abrogare, via referendum, «le leggi folli che hanno favorito la precarietà». E la segretaria dem ha subito aperto: «Condividiamo la forte preoccupazione» di Landini, e «seguiremo con grande attenzione le iniziative della Cgil». Forlaniana, come si diceva, ma il senso è chiaro, come spiegano al Nazareno: «Se ci sarà un referendum anti-Jobs Act, per noi sarebbe complicato dire di no».

In verità si tratta di un consapevole bluff: non esiste alcun referendum Cgil, Landini non ha neppure depositato un quesito («È molto complicato capire come potrebbe essere formulato», ammettono in Cgil), e seppure riuscissero a formularlo le firme dovrebbero essere raccolte l’anno prossimo per votare nel 2025. Uno specchietto per le allodole. E altrettanto fasulla è la svolta disarmista: Schlein ha spedito il fido Marco Furfaro (ex Sel e Lista Tsipras, ma in predicato per diventare il numero 2 di Elly, tanto che le farà da spalla nel comizio finale alla festa dell’Unità) a spiegare che il Pd vuol seguire la linea del cancelliere tedesco Scholz sul rinvio dell’obiettivo del 2% di spese militari.

Peccato che in realtà Scholz abbia deciso un aumento di 100 miliardi della spesa per la difesa nei prossimi anni, altro che «rinvio». Ma il messaggio è chiaro: il Pd schleiniano ha fretta di de-renzizzarsi, rinnegando il riformismo di governo, e di de-lettizzarsi sul fronte dell’atlantismo filo-ucraino.
Cancellando in un sol colpo la storia politica dem degli ultimi lustri per far concorrenza al populismo sociale e al «pacifismo» anti-occidentale di Conte. «Se si tratta di una damnatio memoriae» per liquidare «un’intera stagione politica, faccio presente che le priorità sono altre», avverte Alessandro Alfieri, membro della segreteria ma di provenienza riformista. Mentre l’area Guerini fa sapere che, se si vuol invertire la rotta del Pd sugli impegni Nato, ci potrebbe essere una conta in direzione.

C’è da ricordare che Schlein non è mai stata del Pd, di cui ha preso la tessera appena 8 mesi fa, giusto in tempo per farsi eleggere alla segreteria. In precedenza aveva aderito al Pd, come fedelissima di Pippo Civati, giusto in tempo per farsi eleggere europarlamentare nel 2014 grazie al 40% di Matteo Renzi, per poi andarsene - contro Renzi - nel 2015.

Del resto, come notava tempo fa proprio il suo ex maestro Civati, «Elly è molto brava ad essere al posto giusto nel momento giusto».

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