Politica

Partite Iva nella sfida alla politica

Il debutto della rete, un soggetto che rappresenta oltre 4 milioni di aziende. Laboratorio diretto da De Rita. Le partite Iva: "Conteremo di più"

Partite Iva nella sfida alla politica

Ci voleva Visco, l’ex ministro delle Tasse, e quattro anni di tempo, per mettere insieme una buona parte dell’Italia che lavora: artigiani con commercianti, imprese della manifattura con quelle dei servizi, comunisti (ex, se preferite) e democristiani (ex, sempre secondo i gusti). Ieri tre organizzazioni di artigiani (bianche, rosse e forse anche verdi) e due di commercianti hanno deciso di parlare con una voce sola. Il club si chiamerà R.eTe-Imprese Italia: un nome così così. Ma i numeri, lo diciamo subito, sono da favola: le diverse confederazioni che hanno aderito rappresentano 4,2 milioni di imprese, rispetto a 4,5 milioni che è il totale italiano. Si parla di 14,5 milioni di cristiani che lavorano per aziende riconducibili a R.eTe (sì però da ora in poi lo scriviamo Rete, se no si impazzisce), di cui 9 milioni sono lavoratori dipendenti. Facciamola breve Rete è l’impresa italiana. E il fatto che si siano messi insieme per parlare con una sola voce, dà il senso dell’operazione tutta politica che è in corso e che deve essere benedetta. Vediamo perché.

1. L’idea di unire commercianti e artigiani, comunisti e democristiani (di origine e per semplificare) nasce alla fine del 2006. Confartigianato, Casartigiani e Cna da una parte e Confcommercio e Confesercenti dall’altra si accorgono grazie alla Finanziaria di Visco e Prodi, che le imprese italiane, soprattutto se piccole, sono tutte sulla stessa barca. È a loro che la politica guarda quando si parla di evasione fiscale o quando si deve recuperare un po’ di gettito: è a loro però che in campagna elettorale tutti si rivolgono per raccattare voti. Insomma la politica nei loro confronti si è esercitata con una sonora presa per i fondelli. Vieppiù considerando il fatto che per la gran parte di queste imprese il punto di svolta epocale è stato l’introduzione dell’euro, con la crisi che ne è seguita e la sopravvivenza conquistata sui mercati. Le Pmi, da tempo, si rendono conto che hanno due «nemici»: i concorrenti, in specie fuori porta, e lo Stato, lì accanto. In questo nuovo contesto storico è evidente che le tradizioni politiche, le geografie e le distinzioni di attività e di posizionamento nella filiera, non hanno alcun senso. È necessario dare un peso unitario alla propria rappresentatività territoriale e merceologica. Così nasce e si nutre il progetto Capranica che si risolve in Rete. Sbaglierebbe il governo a ritenere che da oggi avrà al tavolo un interlocutore aprioristicamente amico. Con Rete (sempre che non voglia fallire dopodomani) nasce un progetto di rappresentanza che non è cinghia di trasmissione di alcuna istanza politica: nasce la rappresentanza di 4 milioni di signori che ogni mattina alzano la saracinesca e che da anni combattono per sopravvivere. La costituency elettorale del centrodestra dovrebbe coincidere con questo nuovo soggetto politico, ma forse si potrebbe dire il contrario: il centrodestra deve stare attento a interloquire seriamente con questo nuovo soggetto pena rischiare di fare il doppio passo nel vuoto di Willy il Coyote.

2. In una recente riunione dei massimi dirigenti di Confartigianato che si è tenuta a Salsomaggiore, intorno a un tavolo si sono seduti i tre big boss operativi delle confederazioni: Fumagalli per Confartigianato, Taranto per Confcommercio e Silvestrini per Cna. L’idea era quella di capire bene cosa le proprie federazioni potessero fornire in termini di servizi alle imprese associate: dall’energia elettrica comprata all’ingrosso, al credito fatto con i Confidi alle reti di impresa. Il senso di Rete è tutto qua. Una testa sola e una voce sola che parla con la politica e cerca di ottenere il più possibile dal Palazzo, e una rete (minuscolo, ma altrettanto importante) che sul territorio cerchi di risolvere e affrontare i problemi contingenti delle imprese. La Rete è piantata nel territorio (termine così in voga oggi) con delle radici fortissime: la debolezza spesso l’ha invece manifestata a livello centrale, politico.

Per rendere il principio più chiaro, basta fare l’esempio speculare: Confindustria. I suoi vertici, le sue prime file sono per lo più fatte da ex partecipazioni statali. La loro forza mediatica è pari a quella politica. È la Confindustria che si atteggia a difensore della piccola impresa: poco importa se lo fa con rappresentanti di Eni, Poste, Enel, Fiat e Finmeccanica. E poco importa se anche le sue realtà più importanti, come Assolombarda, non trovano di meglio se non quella di mettere al loro vertice un ottimo manager più o meno pubblico. Confindustria è riuscita nel gigantesco scatto mediatico di posizionarsi al centro del dibattito politico, pur non rappresentando che una frazione di quanto possa fare Rete.

Ecco Rete dovrà dare il senso di aver fatto un nuovo passo al sistema di rappresentanza in Italia. Ha il compito anche di innovare il sistema di relazioni industriali: sul tradizionale terreno sindacale-confindustriale, costruito per una società che non c’è più, è perdente. Dovrà aver la forza di continuare nel processo di aggregazione, dovrà frenare le inevitabili piccole gelosie che si manifesteranno, dovrà aggregare ancora più forze (ma cosa aspetta la Confapi di Galassi?) e avrà l’obbligo anche solo formale di rompere qualche vecchio rito.

La Rete meriterà il successo che noi tutti le auguriamo se riuscirà a parlare più il linguaggio delle botteghe che competono, che quello degli Albi che si proteggono.

Se riuscirà a dare un po’ di peso ai giovani imprenditori (senza nessuna aziendina di papà) e preferirà parlare degli assurdi modelli burocratici (sui rifiuti ad esempio) imposti dalla politica degli Sapientoni, piuttosto che della marca di acqua minerale che si serve nei salottini di Palazzo Chigi.

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