Politica

Perché il Pd ha paura dei dossier del Kgb

Gli spettatori ignari hanno assistito lunedì sera alla più tremenda sfuriata contro il comunismo vista in tivù negli ultimi vent’anni. A La7 c’era Rosy Bindi, e pareva una delle Erinni. Oggetto della sua ira il solito Berlusconi, non più nella veste di capomafia, ma addirittura di amico dei comunisti. Stupore. Ha urlato la donna contemporaneamente più catto e più comunista d’Italia: «Il presidente del Consiglio va in visita dai peggiori dittatori comunisti rompendo il loro isolamento. Berlusconi ci dorme anche da questa gente. Ha fatto campagna contro il comunismo ed è il migliore amico dei suoi rappresentanti! Oggi era in Bielorussia!». La citazione non è letterale, ma il sugo è questo. Nella stessa trasmissione, L’Infedele, ha mestamente biasimato con Gad Lerner l’incapacità di Prodi a tenere insieme con i democratici Rifondazione comunista e altri partiti comunisti. Perché questa bilocazione morale della signora, la quale ha molti difetti ma non manca di spaventevole coerenza?
Se si va a Cuba va benissimo, dagli Hezbollah (che non sono comunisti, però ne sono amatissimi) pure. Ma guai ad andare al di là dei confini della Polonia? C’è il babau? Strano. Chiunque si intenda dell’abc di politica estera, quale dovrebbe essere un presidente di partito anche se democratico e un vicepresidente della Camera come la Bindi, sa o dovrebbe sapere delle trattative in corso da parte del Consiglio d’Europa per l’ammissione nel consesso internazionale di questo Paese. Della mano tesa anche dell’Unione Europea. L’Occidente attraverso l’Italia vuol gettare un ponte che tolga la Bielorussia da un isolamento che dà l’alibi a Lukashenko per allinearsi con le cause più infelici, come capitò nel 1999 con la Serbia di Milosevic. Il buon rapporto di Berlusconi con Putin elimina molta diffidenza da parte del padre e padrone della Bielorussia. Così Berlusconi può tornare da Minsk, capitale dell’antica Russia bianca, repubblica già sovietica e oggi indipendente da Mosca, con promesse di maggior trasparenza, la certezza di migliori rapporti commerciali, e un’apertura all’Europa da cui attingere maggior libertà e diritti umani. Si chiama realismo propositivo. Magari si fosse in grado di aprire così la Corea del Nord all’Occidente. Perché allora la collera bindiana?
Bastava seguire un tg successivo per capire. Lukashenko ha aperto a Berlusconi gli archivi segreti del Kgb. Finora non li ha esplorati nessuno. Tutto questo non è stato detto dalla Bindi, ma ha giustificato la sua stizza scostumata. Non perché lei lì, tra quelle carte, abbia qualcosa di cui temere personalmente, ci mancherebbe. E neanche i suoi parenti democristiani. Ma i suoi compagni di oggi sì. Ed è ovvio. In Bielorussia ci sono le carte sulla prigionia dei nostri alpini, il loro internamento come prigionieri di guerra. E fin qui sono notizie storiche, importanti per le famiglie oltre che per l’amor di patria, ma di scarso rilievo politico. Salteranno fuori da quegli archivi però anche i corsi di indottrinamento tenuti dai compagni comunisti italiani per plasmare il cervello e rieducare stalinisticamente gli alpini. Il compagno Ercoli (Togliatti) e il compagno Robotti avevano le mani in pasta. Finirono lì, a morirci o a patirci, anche i comunisti italiani poco aderenti alle direttive del partito e dunque infilati nei gulag come reprobi.
Fin qui però è niente. Gli italiani hanno digerito ben altro. Il mito dei comunisti italiani buoni ha sempre resistito a ogni verità storica. C’è qualcosa però che potrebbe turbare non tanto i vecchi compagni quanto i nuovi alleati ex dc. Dà fastidio lavorare con gente che non vuole fare i conti con le salmerie di sacchi d’ossa, di scheletri e tradimenti. La militanza attiva di molti bravi italiani, in posizioni insospettabili - non per forza cioè iscritti al Pci, anzi meglio di no - che sono stati la quinta colonna calcolata dai sovietici come alleato interno in caso di guerra con la Nato, sta in quelle carte.
Questo piace meno, molto meno. Perché un archivio si può cancellare. È successo questo con il dossier Mitrokhin, trattato in tutti i Paesi occidentali come la stele di Rosetta per decifrare i misteri della guerra fredda e individuare le impronte sovietiche nei posti più imprevedibili, e invece occultato e sbianchettato in Italia con la complicità dei servizi segreti. Da un altro archivio si possono far sparire interi faldoni e buste. Ed è capitato e sta capitando all’Archivio di Stato italiano, per quanto attiene ai rapporti del Pci con l’Ungheria nel 1956... Ma la terza volta è più difficile. Ci si stufa di distruggere o oscurare gli archivi. I quali parlano, non cambiano versione. Non sono come i pentiti a cui si può chiedere come ai Tom Tom la strada per Arcore, e quelli magari in ritardo però la sputano. Gli archivi hanno il vizio della memoria che non ha bisogno di imbeccate di pm o di giornalisti molto informati.
Per questo a sinistra sono tutti incavolati con Berlusconi. Non perché è andato a trovare il compagno Lukashenko, ma perché il dittatore comunista per una volta tradisce i segreti sovietici, si fa un po’ meno comunista, e lascia che finalmente l’Italia sappia un po’ più di se stessa, della sua storia e dei suoi tradimenti.
I segreti dell’Ovest sono scritti a Est. Però per favore il governo non metta in mano ai soliti comitati con Giulietto Chiesa e gli storici delle Botteghe molto ma molto Oscure l’interpretazione degli atti. Sia messo in mano a gente seria. Purtroppo Victor Zaslavsky e Valerio Riva sono morti, ma ce n’è di formidabili, penso a Elena Aga Rossi, in Parlamento c’è Giancarlo Lehner. E si nomini qualche esperto internazionale, onde non imbarcarsi - persino in buona fede - in qualche disavventura tipo Scaramella.

Poi si arrabbi pure molto Rosy Bindi, ma reggeremo volentieri il colpo.

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