Politica

Perché siamo una democrazia imperfetta

Come i lettori sanno l’attuale sistema politico non ci piace. I partiti, tutti i partiti, sono intrisi di autoritarismi e in nessuno di essi negli ultimi 15 anni c’è stato un congresso che ha visto due candidati, due liste, due proposte confrontarsi. La stessa pantomima delle primarie del partito democratico fu una finzione che si concluse con l’elezione di ben 3000 costituenti, 3 volte i componenti che fecero la costituzione italiana nel 1948. Quella folla in cui i singoli volti annegarono nel magma egualitario senza alcun potere, partorì quel partito democratico che abbiamo sempre definito un organismo geneticamente mutato e privo della capacità di riprodursi. E i fatti ci stanno dando ragione. In tutti i Paesi occidentali, pur con forme diverse, la democrazia politica è presente nei partiti e nelle istituzioni.
Da 15 anni l’involuzione dei partiti, privi di identità a sinistra e solo forti di una personalità carismatica nel centro destra, stanno trasferendo nelle istituzioni tutti i propri difetti. Non siamo più una democrazia parlamentare perché il nome del premier è scritto sulla scheda e viene quindi votato direttamente mentre il premio di maggioranza falsa la rappresentazione popolare del Parlamento con un’anomalia che non esiste in alcun altro Paese occidentale. Ma non siamo neanche una democrazia presidenziale nella quale l’esecutivo ha poteri più forti e più precisi e il Parlamento è l’altro sovrano democratico con il quale il Presidente di turno è costretto a dialogare.
Da noi si è impiantato un sistema ibrido che nel suo meticciato sta umiliando il Parlamento senza offrire al governo quelle sicurezze di un sistema presidenziale. Un sistema, invece, che esiste nelle regioni dove però un presidenzialismo senza contrappesi garantisce la stabilità del peggio come nel caso di Bassolino o di Loiero. Per dirla in breve una arlecchinata istituzionale nella quale a smarrirsi è la democrazia così come nei partiti, la selezione democratica è stata da tempo sostituita dalla cooptazione e dalla cortigianeria. Se Berlusconi candida alle europee miss Puglia, al secolo Barbara Matera priva di qualunque esperienza politica, Veltroni candidò al parlamento nazionale la Madia, una ricercatrice romana che nella sua prima dichiarazione disse che avrebbe portato a Montecitorio la sua inesperienza. Fioroni candidò la sua segretaria ed Enrico Letta la sua stagista in parlamento europeo mentre Di Pietro scelse l’amica di sua moglie e suo cognato. E per carità di patria evitiamo di parlare di Mastella e di Casini. Se Berlusconi mette la sua storia in fumetti, Casini mette in tutta Italia manifesti dell’intera famiglia quasi che fosse candidato alla carica di Presidente degli Stati Uniti.
Un panorama avvilente come potete vedere in cui, senza offendere naturalmente le singole persone, si è instaurato un sistema della migliore tradizione satrapica dove regnano sovrane la cortigianeria e la mediocrità. Chi contesta Berlusconi fa nel suo partito cose uguali se non peggiori e tutti finiscono per negare democrazia e identità. Ecco perché la preoccupazione è forte. L’involuzione infatti è dell’intero sistema. Se il Pdl ha comunque un riferimento internazionale certo nel partito popolare europeo, il Pd vagheggia ancora una terza via che camuffa una scelta socialista pur negando di esserlo.
L’Italia dei valori non si sa cos’è, visto che raccoglie di tutto e di più, dai comunisti alla Vattimo ai fuggiaschi di Mastella e a famiglie siciliane che stanno facendo rivoltare nella tomba il povero Pio La Torre. L’allarme democratico è forte e il rischio dello sfascio politico-istituzionale lo è altrettanto. C’è bisogno di aprire subito una stagione di riforme costituzionali a cominciare dai partiti attuando innanzitutto l’articolo 49 della Costituzione che parla di metodo democratico riprendendo tra le mani quella sdrucita bandiera della democrazia. Senza di essa non riprenderemo mai il filo per tessere quella politica che fece grande l’Italia e che oggi, nel suo smarrimento, rischia di fare deflagrare il Paese sotto i colpi di una recessione che può fare implodere la coesione sociale.
I grandi dirigenti politici non possono aver paura della democrazia perché da che mondo è mondo i leader veri sono quelli che convincono, non quelli che ordinano e che giustamente diffidano della piazza, fonte storicamente documentata delle peggiori scelte che hanno sempre lasciato sul campo macerie morali e materiali. Lo ricordi innanzitutto Di Pietro.


ilgeronimo@tiscali.it

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