Politica internazionale

La politica estera di Papa Benedetto XVI

Dal dialogo molto difficile con l'Islam alla critica contro le attuali condizioni dell'Europa, passando per rapporti molto più saldi con gli Usa: ecco i tratti più emblematici della politica estera di Joseph Ratzinger

La politica estera di Papa Benedetto XVI

Quando si pensa alla geopolitca di Papa Ratzinger vengono in mente due episodi clamorosi. Il primo ha a che fare con l'esplosione delle proteste nel mondo islamico dopo il discorso pronunciato, nel settembre del 2006, all'Università di Ratisbona. Un passaggio di quella lectio magistralis, ha fatto riferimento a una citazione dell'imperatore bizantino Manuele Il Paleologo. “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo – si leggeva in quel passaggio – e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”.

Una frase però slegata dal contesto di una lezione tenuta nella sua Baviera in cui, per la verità, si parlava proprio di fede, ragione e dialogo. Eppure tanto è bastato per scatenare l'ira in molti Paesi a maggioranza islamica, dove per mesi si sono tenute manifestazioni e proteste. L'altro episodio invece ha a che fare con le sue dimissioni. L'11 febbraio 2013 Papa Benedetto XVI ha letto un discorso in latino con cui ha annunciato di rinunciare al soglio petrino. È stata la prima volta per un pontefice nell'era moderna. Con il suo annuncio, Ratzinger ha spiazzato la comunità internazionale, fino a quel momento non pronta a convivere con due Papi.

Eppure nella politica estera di Benedetto XVI è possibile rintracciare elementi di estrema profondità e di grande cambiamento rispetto al predecessore, Papa Giovanni Paolo II. La geopolitica dell'ultimo pontefice europeo è stata legata alla sua visione del mondo, dove la fede deve incontrare la ragione e dove le più importanti religioni devono collaborare vista la complessità del mondo moderno. Inoltre occorre sottolineare anche un altro elemento importante di discontinuità, questa volta con il suo successore, Papa Francesco: la visione di Ratzinger, a differenza dell'argentino Bergoglio, è stata profondamente connessa ai destini dell'occidente.

Fede e ragione, i tratti salienti di Ratzinger nella geopolitica

La lectio magistralis di Ratisbona era intitolata “Fede, ragione e università”. Era quindi il punto focale della visione del mondo di Benedetto XVI. Se ci si ricorda di quel discorso solo per le proteste sorte nel mondo islamico, è perché quei fatti in quei mesi sono stati in grado di suscitare tanto clamore. Ma in quelle frasi c'era molto di più.

Joseph Ratzinger era salito al soglio pontificio da poco più di un anno. E aveva già segnato un punto di discontinuità importante con Giovanni Paolo II, almeno a livello comunicativo: affidarsi più al ragionamento che all'immagine. Benedetto XVI era più uomo di studi, di riflessioni e di attente e silenziose osservazioni. E così nella sua lezione di Ratisbona, nel corso di un viaggio apostolico che lo aveva riportato nella sua amata Baviera, aveva voluto rimarcare i punti cardine del suo pontificato: dialogo tra fede e ragione, dialogo tra religioni. Punti che hanno segnato anche la sua politica estera.

Per Ratzinger occorreva coniugare la critica agli aspetti più deleteri della modernità con l'apertura a quelli più positivi. Da qui il concetto di dialogo, sia tra fede e ragione e sia tra le varie religioni. Soprattutto con l'Islam. E infatti, subito dopo le proteste per il discorso di Ratisbona, Benedetto XVI ha recuperato i rapporti con il mondo islamico anche a livello politico. Il suo viaggio in Turchia nel dicembre 2006 è stato considerato un successo. In quell'occasione, il pontefice ha anche sventolato una bandiera turca e ha tolto ogni veto all'ingresso di Ankara nell'Ue. Il 6 novembre 2007 invece, per la prima volta un sovrano saudita si è recato in udienza in Vaticano con Ratzinger che ha ricevuto Re Abdallah bin Abdulaziz Al Saud. Segnali importanti, proseguiti anche negli incontri con altri vertici di Paesi arabi o a maggioranza musulmana. E che, nel corso degli anni, hanno forgiato un tratto molto ampio della geopolitica di Benedetto XVI.

I rapporti con gli Usa e i moniti all'Europa

Un altro elemento della politica estera di Ratzinger è stato rappresentato anche dai rapporti tra Vaticano e Washington, molto stretti soprattutto durante la presidenza di George W. Bush jr. Durante il pontificato del suo predecessore, i rapporti con gli Usa hanno vissuto due stagioni distinte: in una prima fase infatti, Giovanni Paolo II ha visto negli Stati Uniti guidati da Reagan degli alleati imprescindibili contro la cortina di ferro e il comunismo nella sua Polonia e nel resto dei Paesi vicini a Mosca. Dopo però, con il crollo del muro di Berlino, gli Usa sono stati visti come origine di una deriva pericolosa del capitalismo, capace di far venire meno nella società il senso del sacro e di mettere in profonda difficoltà il ruolo della fede.

Critiche ben presenti anche nei discorsi di Ratzinger. Sia da teologo che da pontefice, Papa Benedetto XVI ha spesso ammonito circa le derive consumistiche del capitalismo. Nel Natale del 2005, il primo seguito da successore di Pietro, ha parlato contro “l'inquinamento commerciale” subito dalla festa. Tuttavia, l'intesa con la presidenza Bush è probabilmente figlia delle istanze conservatrici richiamate in quel momento dalla Casa Bianca. Parlare contro le visioni ultra liberali della società negli Usa, a differenza che in Europa, non era già allora un tabù. Come sottolineato nel 2008 da Sandro Magister su Aspena, Ratzinger all'ambasciatore Usa in Vaticano, Mary Ann Glendon, ha scritto di guardare con molta attenzione allo “storico apprezzamento del popolo americano per il ruolo della religione nel forgiare il dibattito pubblico, ruolo che invece altrove, è contestato in nome di una comprensione limitata della vita politica”.

Per "altrove" probabilmente si intendeva proprio l'Europa, dove invece il Papa più volte si è dovuto scontrare con governi e società molto meno inclini ad accettare, all'inizio del nuovo secolo, un ruolo importante della fede. Il rapporto tra il pontificato di Ratzinger e il Vecchio Continente è stato quindi molto turbolento, a differenza di quello con Washington. A testimoniarlo è l'accoglienza data a Benedetto XVI negli Usa nell'aprile 2008, in cui Bush ha concesso al Papa di festeggiare il proprio compleanno alla Casa Bianca. Pochi mesi prima invece, la Santa Sede aveva rinunciato all'invito, rivolto al pontefice dall'università La Sapienza di Roma, di tenere un discorso in occasione dell'apertura dell'anno accademico. Una rinuncia dettata dalle forti proteste contro la presenza del Papa nella sede universitaria.

Una visione occidentale

Ad ogni modo, con le dimissioni nel 2013 probabilmente in Vaticano si è chiusa un'epoca sotto il profilo geopolitico. Quella di una Santa Sede con una marcata visione occidentale. Ratzinger ha sempre avuto a cuore soprattutto le sorti dell'occidente e si è sempre mosso in relazione al suo sguardo sul mondo occidentale.

Il suo successore, Papa Francesco, provenendo dal sud America ha invece impresso uno sguardo più globale. Benedetto XVI è stato del resto, fino a questo momento, l'ultimo pontefice europeo.

E questo è forse un elemento essenziale di cui tener conto per valutare l'intera sua opera in politica estera.

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